Connect with us

Hi, what are you looking for?

Spettacoli

Nel film “La grande bellezza” la sofferenza di vite prive di senso

La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino ha ricevuto critiche contrastanti in misura decisamente maggiore dei suoi precedenti film. Sembra quasi facciano da contrappunto all’opposizione che costituisce il leit motiv dell’intera rappresentazione. Da una parte, in alto, una Roma monumentale collocata su di un piano metafisico nel senso letterale del termine, proprio perché separata dalla storia degli uomini che in un tempo immemorabile la edificarono, dall’altra, in basso, appunto questi uomini, ridotti ad “antropidi”, gli esseri mutanti e terribili della poesia di Ripellino.

L’antitesi musicale che accompagna queste due dimensioni, sacra e pop-commerciale, esalta fino all’esasperazione quella che appare quasi una polarità Inferno-Paradiso. L’inferno sono le terrazze romane dove una classe sociale, tanto privilegiata quanto abbrutita, consuma la vita nell’incapacità assoluta di conferirne un benché minimo senso. Da qui quel penetrante sentimento della propria nullità che soltanto il frastuono di una anacronistica movida notturna riesce talvolta a sopire. A coglierlo sono però soltanto i soggetti che non sono ancora completamente sprofondati nel baratro. In primis Toni Servillo, alias Jep Gambardella, con la sua corte dei miracoli: l’amico Romano, intellettuale velleitario e fallito impersonato da Carlo Verdone, Ramona, la patetica spogliarellista fuori età recitata da Sabrina Ferilli, e poi “la nana”, sua editrice e confidente di sempre, speculare alla sua fedele domestica con cui scambia un silenzioso rapporto empatico. In questi uomini e donne alberga ancora la consapevolezza del proprio non-senso che produce sofferenza, raccontata con un disincanto per le cose del mondo in grado di trapassare continuamente dall’ironia al sarcasmo che non risparmia nessuno: la pseudo intellettuale che ostenta di non possedere la televisione, l’alto prelato ridotto ad apparato digerente e chiunque tenti di rivendicare un merito qualsiasi.

Sono questi i momenti delle sequenze del film, in vero ossessivamente lunghe e gravide di estenuante pesantezza, che raggiungono la migliore efficacia. Non manca neppure un pizzico di leggerezza ottenuta con un sapiente movimento della macchina da presa che accompagna le passeggiate sul Lungo Tevere di Jep, quando ormai si accommiata dalla notte. Il pensiero corre alla figura elegante del L’uomo in frac cantata da Modugno in cui il dramma del gesto estremo trova nell’estetica, per quanto evanescente e misteriosa, una infinita dolcezza. Per un attimo si sottrae un po’ di distanza dallo sfondo della Città Eterna.

E’ evidente che l’intento di Sorrentino non è quello di raccontare Roma che rimane soltanto un pretesto e neppure quello di denunciare una classe anacronistica di parassiti. Non siamo di fronte ad un film a valenza sociale, ma decisamente esistenziale. Ritornano in mente i versi di Kavafis che invitano “se non puoi la vita che desideri / cerca almeno questo per quanto sta in te: /non sciuparla nel troppo commercio con la gente / con troppe parole in un viavai frenetico. / Non sciuparla portandola in giro / in balìa del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti, / fino a farne una stucchevole estranea.”

E’ la scena finale del film che suggerisce questo rimando. Il riapparire inaspettato e tragico di quel primo amore che altro non è che la stessa giovinezza gravida di speranze e di promesse. Ci è sfuggita non soltanto a causa di un destino cinico e baro di cui siamo caduti vittime, ma soprattutto perché abbiamo sostituito il desiderio con una volontà di potenza che, come dice Jep, prova soddisfazione anche semplicemente distruggendo quell’effimero che ha inteso rincorrere.

Advertisement. Scroll to continue reading.

Se tutto questo sia stato reso efficacemente dal film è un altro discorso. Forse la ridondanza delle scene ha prevalso sull’incisività, catturata soltanto in alcuni passaggi topici del film.

Paolo Ricci

Written By

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Banner-Studio-editoriale-Giorgio-Montolli

Advertisement

MEMORY BOOKS

Scarica gratis

COSA SONO I MEMORY BOOKS?
Approfondimenti su tematiche veronesi.
A COSA SERVONO?
Offrono una visione diversa di città.
QUANTO TEMPO PER LEGGERLI?
15 minuti.
PERCHÉ SCARICARLI?
Sono rari.
QUANTO COSTANO?
Nulla.

Advertisement
Advertisement

Altri articoli