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L’importanza della mobilità per una città policentrica a misura d’uomo

Giovedì mattina 9 maggio ore 8.05. Percorro via Anfiteatro ad altezza di piazza Nogara. In corrispondenza dell’angolo con via S. Cosimo, un bus turistico sosta sulle strisce zebrate, ostacolando sia i pedoni che il passaggio delle auto. Una palese violazione del divieto di sosta che avrebbe meritato l’immediata rimozione forzata, provvedimento probabilmente non contemplato dalle direttive impartite alla Polizia Municipale veronese. Una vigilessa si guarda attorno per verificare se nei pressi vi fosse l’autista. Nessuno si fa avanti. Allora procede a raccogliere gli estremi per comminare la sanzione. L’autista, lì presente, esce finalmente dall’anonimato e comincia ad inveire. Il tono è decisamente arrogante. Proclama la sua esigenza di attendere i turisti che deve trasferire altrove, senza considerare la violazione in cui è incorso, senza scusarsi, senza affrettarsi a rimediare in qualche modo il disagio che sta provocando. Sovrasta la voce della vigilessa esclamando: “e poi pretendete di favorire il turismo…”. Sono tentato di intervenire, ma la vigilessa se la sta cavando troppo bene. Quindi le esprimo a posteriori la mia solidarietà.

Rifletto sulle parole “favorire il turismo”. A più riprese la nostra amministrazione comunale invoca il “turismo di qualità”, ma occorre precisare cosa si intenda con questa specificazione. Certamente un turismo che non cerchi la “città-lunapark”, perché questa tipologia è alla portata di tutti ed una città d’arte come Verona non può essere interessata a competere su questo piano. Conviene valorizzare ciò che gli altri non hanno. Ma per ottenere questo risultato, è necessario creare un paesaggio urbano che muova innanzitutto un interesse estetico, per favorire poi il trapasso verso ambiti più spiccatamente culturali che però vanno sollecitati, curati, magari offrendo servizi appropriati ed iniziative adeguate, non riducibili ad offerte di cibo da ingurgitare maldestramente nelle piazze (maleodoranti) della città.

Attenzione, tutto questo non risponde soltanto ad una questione di buon gusto, riservata ad un pubblico di nicchia, ma si pone anche in una più ampia logica di mercato. Trasformare il centro storico in un qualsiasi centro commerciale è perdente, perché l’originale sarà sempre meglio della copia. La concorrenza si crea lavorando sulla diversità e sulla originalità del “prodotto”, in grado di far emergere bisogni inespressi per soddisfarli di conseguenza. Storia, arte, architettura, letteratura devono essere posti al centro delle politiche turistiche ed armonizzate con l’indotto commerciale. Non viceversa.

La mobilità urbana si colloca in questo contesto. Il centro storico di una città non deve rimanere separato dalla periferia che può valorizzarsi soltanto nella misura in cui riesce a costruire con esso un collegamento stabile e sistematico. Solo così la delocalizzazione di alcuni servizi può decongestionare il centro ed arricchire la periferia, fino a configurare progressivamente una città “poli-centrica”.

Primo passo è quindi l’interdizione al centro storico sia del traffico privato (auto e moto) che dei parcheggi. Le auto non possono occupare ad libitum strade, piazze e marciapiedi. Siamo arrivati al punto in cui dobbiamo decidere: “o noi o loro”. Un sacrificio è richiesto però anche agli ivi residenti che non possono pretendere di parcheggiare sul suolo pubblico due o tre auto per nucleo famigliare. Abitare il centro implica vantaggi, ma impone anche dei limiti.

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L’importante è potersi muovere agevolmente con i mezzi pubblici o con le biciclette, in ogni ora del giorno e della notte.

Non illudiamoci di “tirare avanti” aumentando a dismisura il numero delle aree di sosta consentita. E’ una battaglia persa. Le auto sono come i gas: tendono ad occupare tutto lo spazio che si rende progressivamente disponibile, scacciando i pedoni-birilli con i loro sbuffi e ruggiti, che non giovano né alla salute, come rivelano le concentrazioni di benzene (noto cancerogeno per l’uomo) a volte più elevate che nelle grandi vie di scorrimento, né il più generale benessere di chi, locale o turista, vorrebbe prendersi una pausa anti-stress. Dovunque questo ha favorito gli esercenti, offrendo una piacevole alternativa all’assedio dei “non-luoghi”, i centri commerciali, veri nemici delle città, sia sotto il profilo economico che culturale.

A ben osservare, gli interessi generali, cioè di tutte le categorie di cittadini, muovono verso questa alternativa che le più importanti città europee ci additano ad esempio, superando di gran lunga quelli particolari e antagonisti legati a contingenze immediate.

Solo se riuscissimo a gettare lo sguardo oltre la siepe.

Paolo Ricci

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Written By

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com

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