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Cultura

Michele Serra ospite di Idem al Nuovo ricorda Fabrizio De André

L’evento è dedicato a Fabrizio De André. A ricordarne la grandezza è Michele Serra, intellettuale dalla professionalità eclettica che nell’occasione manifesta anche la peculiarità di essere simbolo proprio di quella “generazione del ‘68” che maggiormente si è riconosciuta nel mito-De André. Un mito in cui vita ed opere si sono presto profondamente caratterizzate ed intrecciate. Intelligenza creativa, indole riservata, vita anticonformista, ideologicamente sempre ‘contro’, si sono coniugate fin dalla giovinezza ad una ricerca musicale particolare. Una sorta di vocazione che ha trovato l’ispirazione iniziale nelle suggestioni dei cantautori francesi, ha mutuato i suoi contenuti dalle tematiche sociali, si è poi alimentata delle tradizioni musicali mediterranee, mescolando infine idiomi, sonorità di respiro internazionale. Un’operazione culturale di geniale creatività che ha trovato la sua cifra e perfezione nel linguaggio poetico, nel timbro di una voce inconfondibile. Per tutto questo De André è diventato un mito. Il suo merito infatti è di aver saputo bene interpretare con le sue canzoni un’epoca, anticipare la radicale trasformazione culturale, sociale e politica che avrebbe a breve attraversato il nostro Paese. Preludere a quel passaggio epocale dirompente che ha poi rivoluzionato i costumi, le coscienze, aprendoci ad una nuova visione del mondo. Proprio perché molti di noi sono cresciuti con le sue canzoni, riascoltarne i versi attraverso la voce di Veronica Marchi, significa rituffarsi ogni volta nella memoria della giovinezza, riattivare ricordi, rivivere emozioni. Vuol dire commuoversi. Le sue storie di emarginati, ribelli, prostitute, parlano infatti del nostro vissuto, raccontano delle nostre città, ambienti di vita, denunciano l’ipocrisia, il perbenismo dell’Italia del secondo dopoguerra.

Ma che cosa renderà questo mito imperituro? Che cosa rende, più in senso lato, un poeta in-attuale? Cioè non soggetto all’avvicendarsi storico e distruttivo delle mode? Ancora una volta, a me pare, la risposta va trovata nella potenza della poesia. Più ancora in quella pìetas che è cifra di molti insigni poeti. In quel sentimento profondo che induce l’uomo ad amare e a rispettare il prossimo. Quell’intimo sentire che ha a che fare con l’humanitas, il rispetto dell’uomo in quanto tale. Una infinita compassione dunque nei confronti della nostra vulnerabilità legata all’ essere creature, quindi intrinseca imperfezione. E’ questo amore per l’uomo, questa naturale sim-patia che unisce il poeta all’altro, a spingere, in questo caso De André, ad astenersi da giudizi, condanne definitive verso chiunque: giudici, sovrani, professori, prostitute e assassini. Tutti colpevoli per il solo fatto di vivere, di cogliere dell’esistenza tutta la carica passionale, ma anche di attraversarne le miserie, i fallimenti. La lucida consapevolezza dell’immutabilità della natura umana fatta di istinti, pulsioni, induce il poeta a parlare all’uomo dell’uomo usando parole intense, immediate, che sanno andare per la loro essenzialità dritte al cuore.

Parole pulsanti, capaci di leggerci dentro, di farci sentire, forse in ogni tempo, tutti engagés. Il concetto di universalità dell’arte è di per sé infatti contraddittorio, perché ogni attività umana, nobile od ordinaria che sia, costituisce sempre un prodotto storico, possiede quindi un proprio hic et nunc intrascendibile. E’ anche vero però che soltanto alcune delle cose del passato sopravvivono alle mode culturali e sembrano collocarsi al di là dello spazio e del tempo per la capacità che manifestano di suscitare continuamente emozioni profonde in qualsiasi spettatore. A volte è la forma espressiva a prevalere, altre volte la potenza evocante del contenuto. Forse quando entrambe queste componenti riescono a fondersi in un unicum, l’opera d’arte vince oltre misura la sfida del tempo, fino al punto di apparire sub specie aeterni. E’ quella magica illusione che chiamiamo poesia.

Written By

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it

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