Al Teatro Nuovo l’associazione Idem ha organizzato un confronto tra Franco De Benedetti (imprenditore, economista e già senatore della Repubblica), Gad Lerner (giornalista e saggista) e Alberto Mingardi (economista e scrittore), prendendo spunto dal libro di quest’ultimo titolato L’intelligenza del denaro, Marsilio, Venezia 2013.
Il dibattito, che si è svolto giovedì 28 febbraio, si è giocato intorno alla “mano invisibile del mercato”, la famosa metafora di Adam Smith. Nessuno dei tre contendenti ha sostenuto di possedere una fiducia o sfiducia incondizionata nei confronti di questo non-luogo, tanto sfuggente quanto concreto nelle sue ripercussioni sulla vita degli uomini.
In realtà, le posizioni si manifestano subito molto differenziate e asimmetriche: da una parte Mingardi e De benedetti che sostengono entrambi, pur con diverse sfaccettature, una tesi a favore, condensabile nella convinzione che il mercato rappresenti “il minore dei mali possibili”, dall’altra Gad Lerner sostenitore di una posizione decisamente più critica che ne denuncia la neutralità apparente.
La tesi dei “mercatisti” è appunto che “il mercato non ha idea di cosa sia l’interesse della società (Buchanan)”, riprendendo il concetto classico della a-moralità di questo luogo di scambio delle merci, e che “non è un mezzo per realizzare un fine particolare (Buchanan)”. Quindi è a-finalistico, non orientato a premiare il merito e per di più sottoposto al capriccio della Fortuna. Viene presentato come una sorta di essenza della natura umana, fino al punto da equipararlo alla Natura tout court, tanto appare l’evidenza della sua originarietà. L’uomo, si dice, ha iniziato a praticare lo scambio fin dagli albori della sua storia, non appena, svezzato dai bisogni primordiali, è riuscito a produrre beni di consumo eccedenti il proprio fabbisogno. Da qui l’esigenza intrinseca di scambiarli nel luogo virtuale costituito dal mercato. Questo diventa quindi punto d’incontro, di relazione tra gli uomini, di conoscenza, di un arricchimento che trascende l’aspetto economico in quanto generatore di processi sociali che hanno scandito anche le fasi più alte della civiltà occidentale. In effetti, non è un caso che questa si sia sviluppata nei Paesi che si affacciano sul mediterraneo dove certamente gli scambi sono stati facilitati dal clima e da condizioni logistiche più favorevoli.
Gad Lerner coglie in questa argomentazione quasi un’aura teologica, dal momento che si istituisce il mercato a fondamento della vita degli uomini. Viceversa la loro emancipazione collettiva è avvenuta attraverso vere e proprie restrizioni della libertà di mercato a cominciare dall’abolizione della schiavitù, per lo meno in Occidente, ottenuta da Lincoln, per proseguire con il New Deal di Roosevelt, con la nascita del Sindacato e la rivendicazione del salario minimo che all’epoca apparve come una vera e propria offesa al mercato.
De Benedetti rifiuta l’accusa di “teologia”, perché il mercato è privo di telos, di un fine qualsiasi, mentre il concetto di Dio rimanda sempre ad un disegno, al senso delle cose. Il mercato è quindi possibilità e non necessità. La prima viene associata alla libertà, che si traduce nella differenza tra gli individui, la seconda all’uguaglianza che per realizzarsi deve limitare la libertà che funge da forza antagonista. La fratellanza costituirebbe quindi una sorta di sintesi dialettica prodotta dalla modernità.
Lerner ribatte osservando come una libertà sconfinata produca profonde diseguaglianze fino al punto di mettere in discussione la stessa democrazia. La fuga progressiva della rendita finanziaria dall’industria manifatturiera ha finito infatti per creare una sorta di neo-feudalesimo che ha accresciuto la dipendenza sociale e quindi in definitiva svuotato di effettività la forma democratica degli Stati. A ciò si oppongono i teorici della cooperazione che riscoprono antiche espressioni mutualistiche, promuovono il micro-credito come risposta alla frantumazione della struttura economica e propongono un nuovo mercato di comunità. All’orizzonte della crisi globale si profila una scelta secca: fratellanza o fratricidio.
Pronta la replica di Mingardi che ricorda come previdenza, istruzione e assistenza nei Paesi scandinavi, tanto osannati dagli “statalisti”, funzionino in realtà all’interno di un sistema di mercato che quindi non può essere demonizzato. E’ l’invadenza dello Stato, rilancia, che imbrigliando la libertà dell’individuo lo soffoca e ne inibisce la creatività, quindi la forza propulsiva che sostiene la crescita e lo sviluppo. E’ infatti proprio a questa mancanza che l’autore attribuisce l’incapacità di attrarre gli enormi capitali finanziari che vagano nel mercato alla ricerca di investitori convincenti.
Lerner reagisce ricordando che ci sono beni non riducibili a merci, quali l’aria, l’acqua, gli organi del nostro corpo e che costituiscono delle vere e proprie antinomie alla logica di mercato.
E’ attraverso questi riferimenti che per la prima volta si evoca il “convitato di pietra” della serata, cioè l’ambiente, considerato dall’economia classica fonte inesauribile di risorse. Oggi sappiamo che così non è. Lo sviluppo incontrollato, o meglio controllato soltanto dal mercato, è una sorta di “monstrum” che consuma Pianeta e produce rifiuti, oltrepassando la capacità del sistema di reintegrare il primo e metabolizzare i secondi. E’ proprio l’a-finalismo e l’a-moralità del mercato a non poter garantire il superamento del punto di non-ritorno, un pericolo assolutamente sconosciuto all’Ottocento che concepì sia l’ideologia liberista che l’ideologia socialista, entrambe espressioni di quella rivoluzione industriale che vedeva nella produzione e quindi nel consumo infinito delle merci una sorta di Paradiso Terrestre. La differenza consisteva soltanto nella diversa attribuzione della proprietà dei mezzi di produzione, individuale o collettiva. Ma il disincanto del terzo millennio obbliga ad uno scatto più radicale del pensiero.
E’ difficile intravedere una qualche originalità teoretica nel discorso di Mingardi e del suo supporter.
Si tratta di una rivisitazione del liberismo classico tradotta in una narrazione certamente efficace che ha il pregio di catturare l’attenzione e di stimolare la riflessione anche da parte di chi non ne condivide la tesi. Seguire il confronto tra punti di vista differenti che non rinunciano ad includere il pathos all’interno della logica delle proprie argomentazioni, senza cadere in derive oltranziste che chiudono al dialogo, è sempre un bello spettacolo, soprattutto di questi tempi. Complimenti quindi all’associazione idem.
Paolo Ricci

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com
