12 dicembre 2012, ore 18: la Biblioteca Civica è in festa. Per una folla di bambini gioiosi l’occasione è l’attesa dell’arrivo di Santa Lucia, per i più grandi, appassionati di poesia, è la piacevole opportunità di riascoltare Aldo Palazzeschi in alcune poesie tratte dall’Incendiario, l’opera che segnò la sua stagione futurista, riedita nel 1913. Una iniziativa sostenuta da Amnesty International e dedicata a tutti quei poeti, scrittori, giornalisti, attivisti, che sono stati nel mondo arrestati, condannati, uccisi o tuttora detenuti. Per aver contrastato il potere. Incendiari dunque per scelta di vita, rei di aver manifestato le proprie opinioni attraverso la scrittura o il pensiero. Più che di un reading all’opera è una vera e propria performance poetico-teatrale, creata da Poetria – movimento clandestino di Resistenza poetica – arricchita da filmati, danze, giochi.
La coreografia è, come da copione, di fuoco. Davanti all’ingresso della Biblioteca, fachiri si esibiscono nelle loro acrobatiche rappresentazioni attirando l’attenzione dei passanti, banditori dai grandi mantelli neri con megafoni pubblicizzano l’evento, invitano ad entrare. Sulle facciate esterne corrono silenziosi i nomi dei molti artisti dissidenti. La resa è efficace, accende la curiosità. Il passaggio è poi nel cortile interno della Biblioteca. E’ buio. Va in scena, a più voci, la lettura dell’Incendiario, la poesia che apre il reading e titola la raccolta dei versi di Palazzeschi. Nel mezzo, in un antico pozzo, metafora della gabbia di ferro evocata dalla lirica, lui, l’incendiario. Muto, avvolto in un ampio mantello nero foderato di rosso, alla berlina del ludibrio e delle rappresaglie di una folla che freme ed inveisce contro di lui.
L’atmosfera “abbrucia”. All’improvviso, da un balcone irrompe la voce del poeta: «Largo! Largo!, sono il poeta!». Con tono fermo, solenne, interviene provocatoriamente per rendergli omaggio. Non esita a chiamare «marmaglia», «ciarpame» la gente riunita. L’intento è di scandalizzare. Nella sua invettiva la gabbia diventa un altare, quell’uomo il Signore e lui il suo sacerdote. I toni si stravolgono, sono paradossali. La sua vicinanza a questo “povero diavolaccio”, a questo “birbaccione” è di umana simpatia. Anch’egli si sente e si definisce un incendiario: «Ogni verso che scrivo è un incendio» tuona dall’alto. Si appalesa qui lo spirito futurista della poesia di Palazzeschi. Uno spirito teso a rompere con tutta la poetica precedente, una poetica aulica, retorica ed enfatica.
L’azione è demolitrice dei nessi sintattici, scardina i moduli metrici tradizionali all’insegna di parole in libertà, parole di denuncia contro una società conservatrice, infarcita di perbenismo e ipocrisia. Sono i luoghi comuni, il qualunquismo, il parlare del nulla della Contessa Eva Pizzardini Ba. Obiettivo è rovesciare una morale ammuffita, dare voce ad una temperie culturale di respiro europeo che attraverso l’estetica letteraria e filosofica inneggia al cambiamento. La novità è tutta nell’uso di strumenti che utilizzano la satira violenta, l’ironia. Il poeta diventa così un giullare della parola, un cantore dello sberleffo che con maestria si muove tra lazzi, frizzi e ghiribizzi linguistici. Come nelle Beghine, dove si scatena in un lessico bizzarro capace di cogliere il grottesco di queste figure, agghindate con «pennine di galline, di tacchino, di galletto, di cappone», le cui facce sono in realtà «pugni di rughe, colli di tartarughe…capelli tinti malamente». Palazzeschi, in una estrema provocazione, non esita ridendo a spogliarle, a smascherarne tutta l’artificiosità.
Proposta a due voci, le lettrici, accompagnate da una voluttuosa danzatrice in rosso, giocano nelle tonalità a volte stridule, talora perentorie e vezzose. Valorizzano in modo efficace l’agilità poetica, il tono caricaturale e dissacrante delle bisbetiche strofe. Infine, E lasciatemi divertire, un coro chiocciante di “Tri, tri tri / fru fru fru,/ uhi uhi uhi,/ ihu ihu, ihu/ cucù rurù/”che vuole ancora una volta ricalcare l’ilare umorismo di Palazzeschi a chiudere una iniziativa dai toni divertenti, ma profondamente “politica” nelle intenzioni dei promotori, e peraltro in sintonia con il pensiero del poeta.
Corinna Albolino
Foto di Ivano Mancioppi

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it
