Interessante l’incontro di giovedì sera con lo scienziato Edoardo Boncinelli al Teatro Ristori, inserito nel ciclo di iniziative sulla Scienza organizzate dall’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona. Gradevole da subito l’esordio di Boncinelli che autopresentandosi non si perde nell’enunciazione dei propri titoli o testi pubblicati, ma semplicemente si definisce innamorato della scienza, felice di aver vissuto nel tempo del suo trionfo che si è espresso in tanti diversi ambiti.
Il buon livello divulgativo della trattazione, avvalendosi di una efficace capacità didattica, ha consentito, a chi non sa, di avvicinarsi agli argomenti, ai più attrezzati, di aggiornare le proprie conoscenze. Propedeutica alla comprensione del discorso, è risultata la prima conferenza, quella del filosofo e matematico Giulio Giorello che aveva introdotto alla materia partendo dalla sua base, cioè con la dissertazione sul metodo scientifico, di cui teorizzatore fu Galileo Galilei. E’ proprio questo rigoroso strumento, che coniuga l’esperienza con la dimostrazione logico-matematica, a fondare la verità scientifica. Senza di esso la scienza, asseriva Borges, sarebbe un ramo della letteratura fantastica. Solo così, conclude il filosofo, è possibile non perdersi in oscuri labirinti e non camminare sulle orme altrui.
Muovendo proprio da questo concetto, Giorello ha definito la Scienza come l’insieme delle conoscenze acquisite rispettando le regole del metodo scientifico. Sulla definizione di Scienza si sofferma anche Boncinelli e ne fa il tema della relazione. Si apprende così che essa è prima di tutto una ”impresa collettiva e progressiva”. Il rimando è sia alla pluralità di soggetti che collaborano tra loro nel percorso di ricerca, sia alla circostanza che il lavoro è di volta in volta collettivamente controllato, perché sottoposto ad una revisione di esperti di pari competenza (peer review) che ha l’autorevolezza e l’autorità di accettare, respingere o richiedere modifiche all’operato. Solo a seguito di questa validazione, una pubblicazione ottiene l’imprimatur concorrendo insieme alle altre, come la tessera di un mosaico, a creare una verità scientifica. Il carattere di progressione si basa invece sull’evidenza che la scienza avanzi in virtù dell’apporto continuo di sempre nuovi guadagni conoscitivi che raramente avvengono per salti. La comunicabilità dei risultati è quindi un’altra delle sue prerogative. Approfondendo il discorso, l’accento è poi caduto sulla sua capacità di previsione e di riproducibilità nel campo dell’applicazione che apre alla tecnica.
Tre sono le funzioni della scienza, ricorda Boncinelli: produrre conoscenza, una conoscenza affidabile che tiene sostanzialmente fermo un corpus solido centrale, concedendo solo ai dettagli di cambiare continuamente; sviluppare applicazioni, cioè modificare la realtà, e, non da ultimo, generare cultura, cioè razionalità e senso critico. Lo scienziato, pur strenuo sostenitore delle proprie scoperte, è tenuto, per essere tale, a mettere in discussione le proprie tesi, fino al punto di rendersi disponibile a modificarle. D’altra parte, citando Popper, Boncinelli ha ricordato come la differenza tra verità metafisica e verità scientifica, consista proprio nella falsicabilità di quest’ultima. Da contrappunto fungono i suoi limiti: l’impossibilità per la scienza di trattare i fenomeni che accadono una sola volta, tanto che non è dato di parlare del big bang, ma di ciò che probabilmente è accaduto immediatamente dopo in una serie progressiva di eventi. Già Aristotele diceva che solo dell’universale ci può essere scienza, cioè di ciò che hanno in comune i diversi fenomeni, la molteplicità. Ancora, la constatazione che la scienza non procura la felicità, né la saggezza, come dimostra il fallimento del positivismo e, come ironizzava il Leopardi, richiamando “le magnifiche sorti e progressive” cui sarebbe stata destinata l’umanità. La conoscenza delle cose non implica infatti automaticamente un diverso rapporto con esse, una modificazione dei nostri comportamenti.
Il discorso di Boncinelli ha mosso qualche perplessità a proposito del rapporto che la Scienza intrattiene con il mondo. Purtroppo il poco tempo disponibile non ne ha consentito la discussione. Lo scienziato ha affermato che nel momento in cui una scoperta esce dal laboratorio, la scienza ne perde il controllo e quindi ogni responsabilità successiva, quasi che la contaminazione con il mondo avvenisse soltanto sulla soglia d’uscita. In realtà, tutta la storia della scienza insegna che questa contaminazione si verifica anche in corrispondenza della soglia di entrata al laboratorio. Basti pensare al problema dei finanziamenti che possono essere orientati verso l’uno anziché l’altro campo di studio e ricerca. Non si tratta di scelte casuali, ma suggerite da precise esigenze della Tecnica che si alimenta di scoperte scientifiche. Alle spalle agisce il potere economico che la governa, nel tentativo di asservire la Scienza a proprio funzionario. Una criticità che speriamo trovi occasione di approfondimento in uno dei prossimi incontri.
Corinna Alboino

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it

corinna albolino
02/11/2012 at 16:36
Conosco molto bene il pensiero di Galimberti che è stato uno dei miei maestri. Ma forse per conoscerlo non basta ascoltare una conferenza. Bisogna leggere e studiare i suoi testi, come ad esempio, Psiche e Techne. In nuce, Galimberti sostiene che la Tecnica è afinalistica, perchè persegue soltanto il proprio accrescimento, indipendentemente da altro. E’ quindi per definizione anche amorale. E’ l’inversione del rapporto mezzo/fine nella prospettiva antropologica. In questo senso allora si può dire che lo scienziato è “innocente” perchè asservito alla Tecnica, come ogni altra disciplina. Per il filosofo, tutto ciò costituisce un percorso “necessario”, cioè estraneo alla libertà dell’uomo. E’ una tesi che si può anche non condividere, ma che ci induce molto a rifllettere, soprattutto sulla presunta libertà ed indipendenza degli scienziati. Corinna Albolino
Elia
02/11/2012 at 11:51
“..Lo scienziato ha affermato che nel momento in cui una scoperta esce dal laboratorio, la scienza ne perde il controllo e quindi ogni responsabilità successiva, quasi che la contaminazione con il mondo avvenisse soltanto sulla soglia d’uscita”. Questa frase dice moltissimo su quella che viene definita scienza, o meglio, sulla tecno-scienza come già sapientemente raccontato dal professor Galimberti durante una serata del ciclo di convegni “Giovani oggi, adulti domani. Quali scenari nel mondo globalizzato?”. Siamo in balia della tecno-scienza che ha modificato il mondo. Dire che quando una scoperta esce dal laboaratorio se ne perde la responsabilità è, scusate il termine, una scemenza. In laboratorio ci sono gli scienziati e le persone che possono scegliere quello che vogliono fare e come lo vogliono fare. Altra frase gravissima è questa: “…precise esigenze della Tecnica che si alimenta di scoperte scientifiche”. Se noi capissimo quali sono le precise esigenze della tecnica sapremmo anche in quale guaio terribile ci siamo cacciati senza prima ascoltare la saggezza che derivava dal tentare di capire se una qualsiasi applicazione/invenzione che mettevamo in campo fosse compatibile con il mondo che ci circonda. Ecco il tassello che oggi purtroppo continua a mancare e che non è ancora considerato. Purtroppo la nostra consapevolezza è molto più lenta rispetto ai passi del mondo tecnologico che tutto ingloba e tutto ingoia.