INCHIESTA – Traforo, inceneritore, Mediana, nuove autostrade Nogara-Mare e Tirreno-Brennero, Sistema delle tangenziali venete. E poi ancora: riqualificazione delle Ex Cartiere di Basso Acquar, Motorcity della Bassa, Centro agroalimentare di Trevenzuolo, District Park di Vigasio, Interporto di Isola della Scala, nuova porta autostradale di Nogarole Rocca. Senza contare la Tav e l’Alta capacità.
L’elenco delle grandi opere pubbliche in progettazione sul nostro territorio è a dir poco impressionante. Se sommiamo il valore preventivato per ciascuna di esse, troviamo che Verona è il baricentro di investimenti in opere infrastrutturali per l’incredibile cifra di 20 miliardi di euro. Quasi nessuna di esse è ancora avviata, ma tutte sono approvate, o in via di approvazione.
È tuttavia evidente che questa colossale massa di cemento e asfalto qualche problema lo pone. A cominciare dai costi, sui quali gli amministratori pubblici sono abituati a glissare, dal momento che molte opere sono finanziate in project financing: si suppone, cioè, che si ripaghino negli anni con pedaggi o con altre opere private inserite nel progetto in grado di fruttare dei soldi (le cosiddette opere “compensative”). Ma chiedersi chi sia il responsabile del rientro dei capitali e chi se ne fa garante non è una domanda oziosa.
Per Tangenziale Sud e Passante Nord (il Traforo delle Torricelle) si pagherà un pedaggio. Idem per Mediana, Nogara-Mare e Tirreno-Brennero. Il Motorcity verrà interamente finanziato da capitali privati per 1,5 miliardi di euro. Nel complesso le opere in project financing coprono un valore di 6 miliardi di euro; quelle finanziate direttamente dai privati ammontano a 2 miliardi e quelle dove sono coinvolte le società autostradali valgono quasi 4 miliardi di euro. Allo Stato resta una fetta residua di 8 miliardi di euro. È lecito chiedersi da dove salterà fuori questo fiume di denaro.
Un secondo ordine di considerazioni va fatto sul consumo di territorio. Basti dire che le nuove opere previste nella Bassa Veronese copriranno una superficie di 12 milioni di metri quadri ora destinati a coltivazioni pregiate, riso in primis. Il Motorcity da solo misura quanto il centro storico di Verona racchiuso dentro le mura magistrali, mentre la riqualificazione della Zai storica del capoluogo scaligero porterà all’edificazione di 4,5 milioni di metri cubi tra uffici e negozi. Abbiamo veramente bisogno di tutto questo?
Non da ultimo, una riflessione va dedicata alle comunità locali che dovranno subire gli “effetti collaterali” delle nuove grandi opere, preventivabili in termini di ulteriore congestionamento delle vie di comunicazione e di aumento dell’inquinamento.
Sempre più spesso delle ragioni delle popolazioni esposte si fanno carico comitati e associazioni, spesso in contrasto con gli amministratori. Il che pone una questione che si può più o meno spiegare così: esiste un limite oltre il quale i governanti non possono spingersi nel decidere? Sì, secondo i comitati: ad esempio quando le loro scelte riguardano provvedimenti che andranno ad incidere profondamente sulla qualità della vita delle persone.
L’Arpav (un istituto pubblico) ha calcolato che le grandi opere concentrate nella Bassa Veronese moltiplicheranno per sei volte i valori, già oltre la soglia di allarme dei 50 microgrammi per metro cubo d’aria, del Pm10 e degli altri inquinanti. Nello studio di fattibilità relativo al Sistema delle tangenziali venete è scritto nero su bianco che una volta entrata a regime, l’opera garantirà agli automobilisti una velocità di percorrenza di 17 km/h: un’andatura da lumaca che conferma la tesi secondo cui fare nuove strade non contribuisce a diluire il traffico, semmai lo moltiplica.
Tutte ragioni, queste, puntualmente ribadite e sostenute dai comitati ma sostanzialmente ignorate dalla politica. Il punto più alto di questa dialettica tra governanti e governati è stato toccato recentemente dal Comitato contro il Traforo delle Torricelle (costo 390 milioni di euro, da realizzare in project) guidato da Alberto Sperotto, che si è impegnato in una lunga e dura battaglia per evitare la realizzazione dell’opera e che ha proposto, senza fortuna, un primo referendum.
Il 9 febbraio un gruppo di cittadini, composto da esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni veronesi, tra cui spicca il Procuratore capo della Repubblica di Verona Mario Giulio Schinaia, ha proposto un secondo referendum, il cui percorso è apparso già da subito in salita, nonostante la precisazione che tutti, contrari e favorevoli al traforo, andando a votare avrebbero potuto dare il loro contributo per far conoscere l’orientamento dei cittadini in merito.
A cercare la consultazione popolare era stato anche l’attuale sindaco Flavio Tosi, allora esponente dell’opposizione, contro la tramvia di Zanotto. Ma l’istanza era stata respinta più o meno come sta accadendo oggi che a governare è il centrodestra. A differenza di ieri i no-traf di Sperotto, con i loro ricorsi in Tribunale, hanno aperto una pista importante mettendo in discussione lo stesso regolamento comunale sul referendum, troppo restrittivo per essere al passo con i tempi.
Il più delle volte il concetto di condivisione e di partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica si perde tra le pieghe dei procedimenti burocratici, non senza una buona dose di malizia dei vari raggruppamenti politico-imprenditoriali che sostengono questa o quell’opera.
Il caso forse più evidente riguarda il Motorcity tra Vigasio e Trevenzuolo, approvato a forza di blitz procedurali. In origine il Piano d’area quadrante Europa (Paque), cioè lo strumento che disegna lo sviluppo del territorio definendone la vocazione, prevedeva soltanto un semplice autodromo, che sarebbe dovuto sorgere su un’area di 100 ettari a Nord di Trevenzuolo. Scelta che avrebbe potuto far sorridere, o tutt’al più insospettire, ambientalisti e comitati civici, vista la sua stravaganza.
Nel Paque del 1999 la maggior parte del territorio risultava tutelato, tant’è che nell’area veniva prevista l’istituzione del Parco naturale regionale delle antiche terre del riso tra il Tartaro e il Tione e che, fino alla fine del 2004, tutti i progetti erano riferiti al disegno originario. Sennonché dal dicembre 2004 la Regione ha emanato una raffica di “varianti” che hanno finito per stravolgere il piano, prima inserendo accanto all’autodromo “nuove funzioni produttive e commerciali”, in deroga agli obiettivi di sviluppo; poi, nel febbraio 2005, prevedendo delle deroghe ai limiti dimensionali della grande distribuzione e, ciliegina sulla torta, nel marzo 2005 approvando la terza variante al Paque, la quale, recependo le precedenti deroghe, ritirava i vincoli di tutela degli ambiti paesaggistico-ambientali.
A quel punto la frittata era fatta: il nuovo sito era diventato un gigante da 458 ettari, di cui l’autodromo rappresentava soltanto una piccola fetta (100 ettari, appunto). E così è rimasto: il resto dello spazio aggiuntivo se lo spartiscono un mega centro commerciale da 470 mila metri quadrati (sarà il più grande d’Europa); un parco divertimenti tematico da 360 mila metri quadri; tre hotel da 35 metri di altezza per un totale di mille stanze; una zona residenziale di 230 mila metri quadri; un non meglio specificato “parco scientifico e tecnologico” e uno “spazio espositivo” (Motorshow) da 420 mila metri quadri. Costo dell’opera? Un miliardo e mezzo di euro.
Commenta Michele Bertucco, dirigente regionale di Legambiente: «Questo, come altri casi, rivela che la programmazione del territorio non è più prerogativa della politica, la quale abdica delegandola ai privati che decidono il piano dei trasporti e i piani urbanistici. Oltretutto non si capisce da dove possano saltare fuori tutti questi soldi».
In questo momento la cordata di imprenditori che sostengono il Motorcity è guidata da CoopSette, potente società della galassia delle coop rosse, e da Draco, società bresciana specializzata in outlet. Ma da Società Autodromo Veneto (che è ancora a maggioranza pubblica) sono passati diversi amministratori, alcuni dei quali facevano capo a Emilio Gnutti, lo spregiudicato finanziere bresciano coinvolto in numerose inchieste giudiziarie.
E non è finita: attorno al Motorcity sono in previsione altre grandi opere, sempre introdotte di “straforo” nel Paque: il District Park (1 milione di metri quadri), appena pochi chilometri più ad Ovest del Motorcity e il Centro Agroalimentare (1,3 milioni di metri quadri). L’investimento dovrebbe aggirarsi attorno ai 3-400 milioni per ogni centro. Tuttavia nessuno sa con precisione di cosa si occuperanno. Il primo è di proprietà della famiglia di un ex parlamentare, il secondo fa capo ad un società di “valorizzazioni immobiliari”, la Spalt.
Ogni grande opera ha i suoi promotori economici (possono anche essere società anonime o raggruppamenti di imprese, sempre da decifrare) e i suoi referenti politici. È evidente, ad esempio, che il Traforo delle Torricelle è sostenuto dalla Lega Nord. Il promotore dell’opera è l’ATI (Associazione temporanea d’impresa) di cui fanno parte i costruttori veronesi Mazzi, che sono anche i comproprietari dell’area delle ex Cartiere, oggetto di una gigantesca riqualificazione urbanistica dal costo di 200 milioni di euro.
Il Motorcity invece ricade sotto la sfera di influenza della componente forzista del Pdl. Ma a conferma che le grandi opere sono bipartisan c’è il caso della gigantesca porta autostradale di Nogarole Rocca, che dovrebbe costituire la porta di accesso alla Bassa Veronese. A Nogarole la giunta comunale è di centrosinistra, ma il progetto, che interessa una superficie di 350 ettari (poco meno del Motorcity) va avanti lo stesso. E come spesso accade, il mastodontico casello autostradale, formato da ben 29 porte (quello di Verona Sud ne ha solo 20), sarà occasione per altri investimenti immobiliari: centri commerciali, poli logistici e quant’altro.
Ancora diversa è la sfera d’influenza politica sotto cui ricade l’Interporto di isola della Scala: qui è territorio degli ex di Alleanza Nazionale, ora nel Pdl. I promotori economici dell’interporto sono chiari nel spiegare le motivazioni dell’opera: c’è l’interesse dell’autostrada del Brennero e di quei capitali ferroviari tedeschi intenzionati ad installarsi nel Nord Italia, che cercano un sito alternativo al Quadrante Europa, che vedono troppo saldamente ancorato alle Ferrovie italiane.
Ma è proprio questo il punto: qual è il vantaggio di avere due giganteschi scali merci nel raggio di appena venti chilometri? Quali, tranne quello di spezzettare il territorio per aree di influenza politico-economica a beneficio delle varie fazioni ma con la conseguente appesantimento delle infrastrutture e dell’ambiente?
Non a caso, collegata all’Interporto di Isola c’è la strada Mediana, che avrà il compito di portare i camion fino al casello autostradale di Soave. Altro project e altra strada a pagamento, anche questa sponsorizzata dall’Autobrennero. Costo di realizzazione: 400 milioni di euro. Dell’opera esistono due progetti, entrambi redatti da Veneto Strade, società pubblica il cui presidente è in quota ad An: nel primo progetto la strada parte a Nord di Isola, nell’altro da Sud. Non si sa ancora quale soluzione verrà privilegiata, ma intanto il risiko continua.
E la gente che dice? «La gente nutre la speranza che tutto questo porti lavoro – spiega Vincenzo Parise, del comitato della Bassa Genius Loci – tuttavia è vero che non è mai stata data una prospettiva d’insieme su ciò che sta accadendo, né tanto meno dell’impatto che queste opere avranno. Ogni Comune sta portando avanti il suo pezzettino in solitudine, senza che ci sia un confronto generale».
Si consideri, infine, che non esiste ancora un progetto per la viabilità secondaria in appoggio al Motorcity, al District Park e al Centro agroalimentare: i privati si sono impegnati a investire 120 milioni di euro in nuove strade attraverso le quali collegarsi, tra l’altro, anche alla Mediana, ma per il momento si tratta di una proposta di impegno unilaterale non ancora inserita nei piani urbanistici. E se qualcuno fosse curioso di sapere che fine farà il progettato Parco Regionale dei fiumi Tartaro e Tione, stia tranquillo: il parco rimane, solo che sarà il primo al mondo ad avere una Città dei Motori al centro. Da qui l’appellativo di “Parco col buco”.
L’auspicio secondo cui “la natura ci salverà” deve venire preso sul serio, a giudicare da come è andato a finire il project financing da 250 milioni di euro per l’autostrada Affi-Pai, un’altra arteria a pagamento inserita nel Piano d’area regionale solo come opera “possibile”, in quanto non coerente con la vocazione del territorio.
A porla all’ordine del giorno, tirandola fuori dal cilindro delle opere regionali, ci aveva pensato qualche anno fa l’assessore alle Infrastrutture Renato Chisso di Forza Italia. Al project bandito aveva risposto una cordata di imprese, tra cui l’Impregilo, ditta che ha attraversato numerosi scandali nazionali. Grazie al movimento d’opinione che il comitato No Affi-Pai è riuscito a creare, interessando anche i 15 sindaci del lago e quelli dell’entroterra gardesano, Chisso si è trovato isolato all’interno della sua stessa maggioranza in Regione, che non ha ritenuto di concedere la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
«La strada sembra essere stata messa da parte ma non si può escludere che venga riproposta, perché sull’area rimangono dei forti interessi politici – chiosa Maria Cristina Zanini, del Comitato No Affi-Pai – per questo motivo stiamo spingendo per l’istituzione del Parco regionale del Baldo-Garda e delle Colline Moreniche, sul quale abbiamo presentato una proposta di legge di iniziativa popolare accompagnata da 6 mila firme. Questa alternativa chiuderebbe il discorso della strada».
Ma torniamo alle concessionarie autostradali, che sono i principali propulsori di altre due grandi opere che attraverseranno il territorio scaligero: il Sistema delle Tangenziali Venete e l’autostrada Nogara-Mare. La prima consta di 108 chilometri di nuove strade tra Peschiera e Vigonza di Padova, ricavate collegando la tangenziale Sud di Verona con le tangenziali di Vicenza e di Padova. L’opera costa la bellezza di 2,6 miliardi di euro. La seconda è in pratica il rifacimento della Transpolesana da Nogara a Rovigo e il suo prolungamento fino ad Adria. Entrambe hanno lo scopo di alleggerire il traffico della intasatissima A4.
Le tangenziali “unite” ci riuscirebbero in modo diretto, in quanto correrebbero parallele all’autostrada e ne costituirebbero di fatto il raddoppio. La Nogara-Mare rappresenta invece una valvola di sfogo solo in prospettiva, perché bisognerà attendere che venga realizzata la Cremona-Mantova, autostrada che secondo i piani delle concessionarie dovrebbe collegarsi a monte con l’A4 e a valle, appunto, con Nogara. Ma in attesa che il disegno si completi, le società autostradali, Serenissima in particolare, incasseranno i pedaggi che si annunciano piuttosto salati.
È interessante notare la specularità delle critiche che comitati diversi e distanti tra loro rivolgono a queste due grandi opere, tutte tese ad evidenziare la sostanziale inutilità di strade che non soddisfano i bisogni di spostamento delle popolazioni locali.
Sergio Mantovani, del comitato Insieme per Borgo Roma, sul sistema delle tangenziali osserva: «Si trova facilmente una montagna di soldi per costruire la terza autostrada a Verona Sud, ma poi la politica non riesce a trovare 30 miseri milioni di euro per la variante alla Statale 12, che riuscirebbe a togliere 40 mila veicoli al giorno da Borgo Roma, Cadidavid, Castel D’Azzano, Sacra Famiglia e Buttapietra».
Lino Pironato, del comitato contro la Nogara-Adria, osserva: «Più che un’autostrada servirebbe una variante alla Strada regionale 10 (a cui la Nogara-Mare corre parallela, ndr) che possa liberare Nogara, Sanguinetto, Cerea e Legnago dal traffico di attraversamento, garantendo allo stesso tempi i collegamenti tra i diversi paesi».
Tra i soci delle società autostradali ci sono gli enti locali, ovvero Comuni capoluogo e Province, che per legge devono avere cura della qualità della vita e della salute dei loro cittadini.
La compagine dei soci privati delle Autostrade è invece formata da grandi società che si occupano di opere stradali e di riqualificazioni urbanistiche. Politicamente sono collocate tanto a destra quanto a sinistra. Per fare solo un esempio, Bruno Tosoni, patron della Cis, Compagnia Investimenti Sviluppo, socio di Serenissima e soprattutto di Autobrennero, è quotato in area di centrosinistra.
L’associazione temporanea d’impresa Pizzarotti-Mantovani-Maltauro, che ha preso l’incarico di costruire le Tangenziali Venete, riunisce tre colossi del settore il cui capitale societario in qualche caso è partecipato dalle stesse società autostradali. Tutte aziende, queste ultime, con una lunga e onorata carriera e coinvolte nelle inchieste di Mani Pulite.
Nel risiko delle grandi opere il grande assente è il trasporto pubblico locale. Con tutta evidenza gli investimenti su rotaia programmati dallo Stato, ovvero Tav e Alta capacità, per un totale di 7,5 miliardi di euro, non rispondono ai bisogni di spostamento delle popolazioni locali, come nota Daniele Nottegar del Comitato No Tav: «L’Alta velocità non è concorrenziale all’automobile ma all’aereo. Noi questo lo andiamo dicendo da 10 anni ma l’amministratore delegato di FS, Mauro Moretti, l’ha ammesso soltanto quando ha inaugurato il primo Frecciarossa.
La Tav, dunque, non determinerà alcuno spostamento modale, da gomma a rotaia, e meno che meno l’Alta capacità, che in sostanza è un’invenzione di Prodi, il quale ha avanzato l’idea che le merci possano viaggiare sull’Alta velocità. Ma è tutto da dimostrare che i container pieni possano viaggiare in sicurezza sui binari a 300 chilometri l’ora».
La Tav dovrebbe attraversare Verona correndo lungo il Corridoio 5 Lisbona-Kiev, mentre l’Alta capacità dovrebbe scendere da Berlino per dirigersi a Palermo (Corridoio 1) lambendo i quartieri di San Massimo e Chievo, così come i paesi di Dolcè, Pescantina, Ferrara di Monte Baldo e Brentino Belluno. Assessori comunali, provinciali e regionali del centrodestra hanno chiesto a FS di spostare più a Ovest il tracciato, ma tra il chiedere e l’ottenere c’è di mezzo… il mare.
L’Alta velocità tra Milano e Verona e Verona e Padova è ferma al progetto definitivo, in attesa di recuperare il denaro necessario a finanziarla. L’Alta capacità invece si sta arrovellando sulla questione del traforo del Brennero.
Lo spostamento delle merci da gomma a rotaia è anche lo scopo dichiarato dell’Autocisa, società finanziatrice dell’autostrada Tibre (Tirreno-Brennero, costo: 2,7 miliardi di euro), altra arteria che dovrebbe mettere in collegamento il porto di La Spezia con il Quadrante Europa di Verona.
Tuttavia, come osserva Michele Bertucco di Legambiente, «hanno privilegiato ancora una volta il trasporto su gomma, mentre potevano scegliere di fare la Tibre ferroviaria». Insomma, perché portare le merci fino a Verona in camion per poi metterle sul treno in direzione del Brennero? Nel progetto della Tibre, recentemente approvato dal Cipe, il collegamento ferroviario è stato solo “predisposto”. Svizzera e Austria mettono pesanti limitazioni al passaggio dei tir, cosa che qui da noi evidentemente non succede: l’Atutocisa Spa è una sigla che sta per Autocamionabile degli Appennini.
L’ingresso della nuova arteria stradale nella nostra provincia avverrà a Nogarole Rocca. Come opera compensativa Autocisa finanzierà la Grezzanella da Dossobuono a Nogarole Rocca. Altra strada, altro regalo. Costo: 16 milioni di euro.
L’inceneritore di Ca’ del Bue completa il quadro sulle grandi opere di Verona. In pochi ancora si rendono conto che gli inceneritori in realtà saranno tre: la nuova struttura finanziata con un project da 118 milioni di euro per due nuovi forni a griglia brucerà accanto al vecchio forno a letto fluido, che verrà ristrutturato. In questo modo l’impianto brucerà la bellezza di mille tonnellate di rifiuti al giorno circa, molto più della produzione giornaliera di rifiuto non differenziato di Verona e provincia.
Il Comitato Verona Reattiva, di cui fanno parte Nottegar e Mantovani, continua a proporre la soluzione del trattamento a freddo dei rifiuti, meno inquinante, sul modello dell’impianto di Vedelago: «È vero che gli impianti a freddo non riescono a trattare più di 100 tonnellate di rifiuti al giorno, ma nel 2012, quando per legge la raccolta differenziata dovrà raggiungere il 65%, saranno sufficienti tre impianti come quello di Vedelago per soddisfare il fabbisogno dell’intera provincia scaligera».
Sergio Mantovani continua sulla strada dei ricorsi e degli appelli alla Commissione europea che qualche risultato l’hanno dato anche sulla questione della colata di cemento su Verona Sud: «Verona e il Veneto sono già stati condannati per il mancato rispetto della normativa europea sull’inquinamento – ricorda Mantovani, annunciando per marzo una nuova denuncia a Bruxelles –. La Commissione europea ha offerto loro una proroga, a patto di intervenire per ridurre l’inquinamento. E invece per tutta risposta questi che fanno? L’inceneritore e altre due autostrade».
Recentemente le rilevazioni dell’Arpa Lombardia ha smentito i dati delle emissioni di diossina forniti dai gestori dell’inceneritore di Brescia, impianto ritenuto sicuro, pulito e moderno. La situazione di contaminazione dell’ambiente circostante sarebbe dunque ben più grave di quanto i dirigenti dell’inceneritore di Brescia siano disposti ad ammettere e il dubbio è calato su tutti i dati da loro forniti negli ultimi dieci anni.
L’aspetto tragicomico della faccenda è che adesso, dopo il caso Glaxo, la crisi economica è conclamata e ammessa anche da quegli amministratori pubblici locali che fino a qualche mese fa minimizzavano. Di fronte ai disoccupati, tuttavia, i governanti non possono che allargare le braccia: tutte le risorse, pubbliche e private, sono state orientate a costruire strade, capannoni e centri commerciali. Per quali clienti non si sa.
Michele Marcolongo
Verona In numero 24 – marzo 2010