di Corinna Albolino
Carnevale. Il significato di questa parola si perde nella notte dei tempi. Comunemente il riferimento è ad un evento in cui la festa raggiunge l’apice della sfrenatezza. A Carnevale, come recita l’antico adagio popolare, ogni scherzo vale. All’insegna del tutto è lecito, la comunità si abbandona ad uno sregolato godimento di cibi, bevande e lussuria. Per tutto il periodo, che secondo il calendario liturgico corre dall’Epifania alla Quaresima, era costume rompere le regole dell’ordine vigente, sovvertire la gerarchia sociale. L’uso della maschera serviva per nascondere la propria identità e liberare dalle inibizioni. Una sorta di rivincita sociale per la povera gente che attraverso la satira, lo sberleffo, l’ebbrezza del vino, poteva momentaneamente affrancarsi dalla schiavitù del ruolo e vivere i privilegi della differenza di ceto. Era questo radicale capovolgimento a rendere grottesca la rappresentazione. Anche oggi prevale in questa ricorrenza la connotazione caricaturale rivolta per lo più contro il potere. Ci si sbizzarrisce nel mettere alla berlina i governanti esagerandone soprattutto i vizi. Un’ulteriore interpretazione del Carnevale rimanda invece alla sua relazione con il tempo ciclico della natura, dunque con l’andamento ripetitivo delle stagioni. Il legame è alla terra, alla sua fecondità biologica che attende di risvegliarsi e rinnovarsi. In questione non è tanto il dispiegarsi della bellezza del divenire, quanto la garanzia del cibo e quindi della sopravvivenza degli uomini. All’interno di questa prospettiva, allora la festa svolge una funzione di rito propiziatorio per la ripresa del ciclo vitale. A questo scopo erano rivolte dapprima le feste greche in onore di Dioniso, e poi i saturnali romani inneggianti a Bacco. Danze orgiastiche che temporaneamente rompevano gli schemi della razionalità quotidiana e che si proponevano di esorcizzare l’angoscia della morte. Simbolo del Carnevale è la maschera che traduce il termine latino ”larva”. Larve sono gli insetti che allo stato embrionale brulicano nel sottosuolo in attesa di trasformarsi in forme di vita superiore. In questo senso la maschera porta alla luce la dinamis del processo vitale che abita le viscere della terra. In termini più strettamente psicologici, la “maschera-larva” fa affiorare quella dimensione del profondo che la modernità chiamerà inconscio, quel tumultuoso mondo delle pulsioni che da sempre l’ordine sociale ha provveduto a contenere, concedendone solo una liberazione controllata nella pausa della festa, nel Carnevale appunto. Tutto questo è rintracciabile nella celebre Bauta veneziana, l’abbigliamento carnevalesco costituito dal tabarro, dal cappello tricorno e dalla mascherina bianca che, ancor oggi, si chiama “larva”.

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it
