Una frangia di mare, le rotaie tra le fila di case, un muretto a secco, un marciapiede, un albero, una strada: i luoghi, talvolta anche dove l’estetica difetta, perdono la cifra dell’anonimato, diventano testimoni di quotidianità e danno nutrimento alla vita. Disegnano una geografia dell’anima dove il rapporto tra l’uomo e il territorio va oltre il sentimento ecologico e rivela piuttosto un’appartenenza interiore, un legame cangiante tra la materia del mondo e il cuore. Cinque artisti di Verona dialogano con i luoghi a loro cari, regalando un piccolo e inedito itinerario attraverso cinque tappe significative che diventano occasione per parlare anche dell’arte e della vita. E la città si svela in un volto nuovo.
Carla Collesei Billi
Scultrice
San Rocchetto, a Quinzano
Carla Collesei Billi è un’artista dai molteplici interessi. Ma le sono particolarmente congeniali le forme tridimensionali. Ama sperimentare materiali diversi che modella e reinterpreta. Nella sua ultima esposizione, “Dentro l’ombra”, ha presentato una serie di teste realizzate con abiti dimessi, lenzuola, lini da corredo.
Nato dopo un lutto, questo lavoro è il tentativo di dare forma, colore al dolore per prenderne le distanze. «Per me l’arte è terapia e conoscenza. Non rappresentazione estetica ma un bisogno. La mia cifra è la ricerca. Affronto ogni nuovo interesse con profondità, come occasione per andare al fondo di me stessa. È un approccio meditativo che si fonda sulla relazione. Le persone che incontro diventano il continente da esplorare e la via d’accesso sono gli occhi. Ecco perché il tema ricorrente nella mia arte è il volto. Nell’incontro, per sintonia o dissonanza, arrivo al mio io più profondo e lì trovo qualcosa di già precostituito che poi rendo visibile con l’opera d’arte. Non è un inventare qualcosa che non c’era, ma un trovare qualcosa che era già lì, pronto per essere visto. L’esperienza del medium.
Amo i luoghi in cui viene nutrita la mia immaginazione. Accade in particolar modo a San Rocchetto. Ci si arriva solo a piedi, dopo una piccola salita che è un avvicinamento assaporato verso un luogo di benessere, un asilo. E poi è come trovarsi nel centro del mondo, con il cielo ampio, la natura poco coltivata, la piccola fonte, le tracce di antichi insediamenti dell’età del ferro e la chiesetta costruita su una grotta. Stratigrafie di vicende che lo rendono luogo dell’anima. Sei fuori dalla città, ma la vedi, ne senti il rumore: è come guardare se stessi dal di fuori. Essere dentro e fuori nello stesso tempo».
Arnaldo Ederle
Poeta
Canale Camuzzoni
Arnaldo Ederle è poeta, critico e traduttore. Le sue più recenti pubblicazioni sono “Sostanze” (Bonaccorso editore, 2005), “Varianti di una guarigione” (Empirla, 2005), “Dieci divagazioni sul corpo umano” (Mondadori, Almanacco dello Specchio 2008) e “Stravagante è il tempo” con il quale sta concorrendo al Premio Viareggio. Scrive per “L’Arena” e collabora a “Poesia” di Milano. «Che cosa sia la poesia in astratto non so. Riesco a parlarne solo in concreto, attraverso il mio percorso. Fin da giovane volevo fare la carriera di artista. Inizialmente presi la strada della musica, ma mi resi conto che ci volevano anni per poter comunicare attraverso questa forma espressiva. Io avevo urgenza. E trovai una risposta nella “parola”. Cominciai a scrivere. Negli anni ’60 frequentavo già gli ambienti poetici, l’avanguardia del Gruppo 63. La poesia è un lavoro manuale e costante. Nel 1993 c’è stata una svolta importante: ho abbandonato lo stile narrativo per aprirmi a una dimensione lirica, più libera.
Un protagonista del mio ultimo lavoro è il canale Camuzzoni. Lo attraverso tutti i giorni per andare a prendere il caffè. L’acqua che scorre mi ha accompagnato per tutta la vita. Infatti sono nato in Sottoriva, a due passi dall’Adige. L’acqua che scorre cambia continuamente: è un’immagine per me più potente di quella del mare. In questo rituale quotidiano mi fermo a controllare lo stato dell’acqua, il colore, se il canale è in piena o in secca per ripulirne i fondali, con le sorprese anche disumane che può riservare. C’è molto da dire. È come se ogni giorno incontrassi una persona».
Luigi Scapini
Pittore
Castel San Pietro
Luigi Scapini è illustratore e pittore surrealista. Di particolare rilievo sono le illustrazioni realizzate per l’edizione di “Pinocchio” della Cassa di Risparmio di Verona (1982). Si è dedicato all’arte sacra in diversi contesti religiosi. Famosi sono i suoi tarocchi diffusi in tutto il mondo.
«Mi definisco un artista visionario. In me fin da piccolo i confini tra l’attività onirica e quella reale non sono mai stati ben definiti. Mi interesso della realtà oltre la realtà, la parte immaginifica, i mondi nascosti e talvolta anche inquietanti. Non si tratta tanto di rappresentare creature o luoghi fantastici, quanto del modo in cui si usano colore e forme per suggerire questo “oltre”. I laboratori che conduco nei centri di salute mentale vogliono aprire un porta alle visioni dei pazienti e non eliminarle. Lavoro molto sul simbolo, inteso come un ponte che mi porta verso la complessità nei confronti del reale. I tarocchi, ad esempio, mi interessano perché sono fatti di un linguaggio complesso che contiene diverse possibilità di significati, di rimandi.
Amo particolarmente Castel San Pietro perché rappresenta la parte esoterica della città, la città magica. Ne parlò Umberto Grancelli nel suo libro “Piano di fondazione di Verona romana”. Su questo colle ci furono i primi insediamenti abitativi e sorgeva il tempio di Giano, collegato attraverso degli allineamenti astronomici ad altri punti di forte valenza simbolica di Verona, quasi a dare un’idea mandalica della pianta originaria della città. Qui vicino poi c’è l’istituto dei Comboniani, dove ho decorato la cappella; sotto ci sono il teatro romano e il Ponte Pietra, il punto in cui l’Adige canta di più per via delle rapide: da qui si sente benissimo».
Beatrice Zuin
Attrice e regista
Scalinata di Palazzo Barbieri
Attrice e regista, il suo percorso è legato al teatro comico-gestuale, chiamato il “nuovo circo”. Collabora con “Eventi Verona” per la promozione di eventi di teatro urbano. È direttrice del Dim, Teatro Comunale Martinelli di Sandrà, per il quale ha realizzato la rassegna “Il teatro che sorride”, ideatrice di “Fuoriluogo”, l’edizione 2009 di Baldofestival, dove il territorio diventa palcoscenico rivisitato per concerti e performance.
«Quando frequentavo i corsi di teatro spesso mi sentivo dire che il teatro è amore. Allora mi sembrava retorica, quasi mi infastidiva. Più tardi ho capito. In effetti è così. Fare teatro è un dare, un darsi agli altri in modo univoco. Non è un pavoneggiarsi per mostrare quanto si sia bravi per ricevere in cambio un riconoscimento. È uno scambio di amore. È come un abbraccio, tra attori e pubblico. Dove niente è dovuto. Implica umiltà, un lavoro serio con se stessi prima di tutto. Poi esistono tante idee di teatro, tante grammatiche. Personalmente a me piace il teatro dove i diversi linguaggi si incontrano e che sconfina con il teatro di ricerca.
La scalinata di Palazzo Barbieri è un luogo importante per me perché proprio qui il 31 dicembre del 1998 è ripartita la mia vita. Come il teatro anche la vita è amore. È la benzina. E quando lo si cerca disperatamente si commettono errori e l’esistenza diventa un zigzagare. Ma quella sera, inaspettata, è iniziata la storia con mio marito Angelo. E due anni fa proprio qui ci siamo sposati. Poi con questa colonnata, mi ricorda l’ingresso di un teatro ottocentesco. E accanto ci sono l’Arena e Piazza Bra, luoghi di teatro e di spettacolo. La piazza, con la sua circolarità, sembra chiudere in un abbraccio tutto questo spazio».
Luca Donini
Musicista
Il sentiero lungo il fiume in Lungadige Galtarossa
Sassofonista di grande talento, compositore e direttore. Ha un’intensa attività concertistica sia in Italia che all’estero dove ha partecipato ai più importanti festival jazz. Il suo ultimo lavoro discografico si intitola “Live in USA” registrato nell’Iowa al July Jazz Festival del 2008. Attualmente è titolare di cattedra di saxofono e docente del dipartimento musica jazz presso il Conservatorio Musicale Statale “A.Buzzolla” di Adria.
«Ho dedicato tutta la mia vita alla musica. L’ho sentita fin da bambino ed è una forza che dentro continua a darmi dei calci per trovare un canale, una via d’uscita. È qualcosa che arriva dal profondo. Come un mare che lascia sulla riva reperti, cose meravigliose che sono il concentrato del proprio sentire, del mondo che si ha dentro, frutti non contaminati dal calcolo, oltre la razionalità. È la pura essenza dell’anima. Purezza. Dono. A volte mi stupisco, mi spavento, mi emoziono nel vedere cosa esce dall’oceano pieno di storia che ho dentro. La mia creatività è legata al sentire, a una forma di amore incondizionato: mi piace provare assieme al pubblico, in uno scambio reciproco, momenti di forte emozione ed energia.
È sorprendente il fatto che bastino pochi minuti per lasciarsi alle spalle la frenesia ed il traffico intenso del Lungadige Galtarossa ed entrare in un luogo straordinario, quasi una foresta incantata dove buttare via le tensioni che si assorbono durante la giornata. La natura, l’acqua ed il silenzio sono tre componenti che riescono a ricaricarmi. La natura pulisce, rigenera. Venivo qui in riva all’Adige quando studiavo al Conservatorio o quando ero in città. Per meditare, scrivere, e ristabilire un equilibrio interiore, fonte di ispirazione. È uno stato di quiete, di centratura, che porta alla creazione artistica».