Sono passati dieci anni dalla tragica notte tra il 30 aprile e l’1 maggio, quando Nicola Tommasoli fu aggredito davanti a Porta Leoni, in pieno centro a Verona. Quel brutale pestaggio provocò a Nicola il coma che l’avrebbe, nel giro di pochi giorni, strappato alla sua giovane vita. Per non dimenticare quanto è successo, il nostro giornale ripropone ai lettori gli articoli dello Speciale Violenza a Verona (N° 21 di Verona In) pubblicati nell’aprile 2009, primo anniversario della morte di Nicola. Sono una ventina di articoli scritti da altrettanti giornalisti di diverse testate che hanno cercato di dare, per quanto possibile, una interpretazione di quanto era successo un anno prima. Conoscere, capire, sapere serve infatti ad evitare che episodi così drammatici si ripetano. La morte di Nicola non fu infatti una fatalità, ma la diretta conseguenza di un clima di intolleranza che a Verona ancora si respira. (C.I.)
di Maria Teresa Ratti
Sono da poco rientrata dal Brasile, dove ho avuto la gioia di partecipare al Forum Sociale Mondiale tenutosi nella città di Belém, nello stato amazzonico del Pará. Un’esperienza, nel suo insieme, molto ricca di contenuti ma soprattutto molto coinvolgente per quanto concerne il leitmotiv che da anni accompagna questo evento: un altro mondo è possibile!
Credo valga la spesa riflettere su alcune implicazioni racchiuse nel tema del Forum da tenere come filo conduttore alla nostra riflessione.
Un altro mondo è possibile: l’affermazione esprime una presa di posizione di fronte alla quotidianità di un vissuto che ci ha portati a capire che questo mondo in cui viviamo non è proprio quello che avevamo desiderato, ma tanto meno è un labirinto dal quale è impossibile trovare via d’uscita.
A Belém ho incontrato donne e uomini venuti da diversi angoli della terra per dirsi a vicenda che è importante rimanere in rete e che è essenziale continuare a cercare soluzioni alternative al modello politico-economico imperante, più preoccupato di accaparrarsi il controllo delle risorse che di salvaguardare la dignità della persona e l’integrità del creato.
Nelle piccole o grandi aule-tende del Forum sono risuonate parole e rappresentati simboli che esprimevano la necessità di fare propri quegli stili di vita capaci di generare solidarietà e giustizia, e, nel contempo si è ulteriormente compreso – come ha affermato il saggio François Houtart – che «non si tratta più di cambiare alcune regole del gioco, come alcuni governi danno ad intendere, ma è urgente cambiare il gioco stesso».
Che c’entra tutto questo con il perché della violenza nella città scaligera? Quali ispirazioni trarre per delineare prospettive che ci indichino delle modalità per costruire una città a favore della persona umana?
Conosco più da vicino la storia missionaria che lega Verona al mondo che non la quotidianità della vita cittadina, ma, avendo avuto la fortuna di vivere con popolazioni diverse per molti anni fuori Europa, oso formulare qualche indicazione.
Ricordo con nostalgia la festa che la gente di Gaichanjiru, pochi chilometri a nord di Nairobi, aveva organizzato per il mio arrivo. Per assicurarsi che io cogliessi la genuinità del loro interessamento nei miei confronti si premunirono di darmi un nome loro, con il quale sentirmi pienamente parte del gruppo. Le donne, poi, facevano a gara nel voler conoscere la mia vita “precedente”, prima del mio arrivo in Kenya, e con una creatività che rasentava talvolta l’incredibile mi comunicavano la gioia che si sprigiona da un’accoglienza sincera e solidale. Così facendo contribuivano ad abbassare il livello del mio iniziale disorientamento e favorivano il mio inserimento progressivo nel nuovo contesto di vita.
Negli Stati Uniti, dove sono vissuta per sei anni, ho incontrato diversi veneti che dicevano di essersi “(ri)fatti” la vita là dove erano sbarcati. Perché allora tanto accanimento, ora, verso chi viene da oltreconfine per cercare una possibilità per migliorare la propria vita? «Sono tempi difficili», si sente spesso dire, ma è proprio quando la “crisi” è impellente che si deve allargare la mano e non stringere il pugno! Se non siamo capaci di farlo per solidarietà dovremmo farlo almeno per giustizia. Ma non sono cose che si improvvisano…
Verona potrebbe essere meno violenta se i suoi abitanti fossero più accoglienti. E più accoglienti di cuore, non solo di facciata. È un’istanza che ho raccolto anche da donne italiane di nascita ma non native di Verona, le quali mi hanno raccontato la loro fatica per trovare, in città, conoscenze e soprattutto amicizie. E Verona fatica su questo versante perché forse ha dimenticato il bene ricevuto dall’incontro con i popoli che hanno accolto i veronesi nel mondo.
Nella Verona che nel IV secolo accolse Zeno l’africano e da lui fu evangelizzata e che, a sua volta, ha inviato missionarie e missionari verso i quattro angoli della terra; nella Verona del Duemila, divenuta crocevia di culture, religioni e tradizioni ma che, in questi tempi, meschinamente e in molti modi sbatte le porte in faccia a chi bussa alle sue porte in cerca di casa e di cittadinanza, bisogna tenere alta la guardia che difende il diritto e non il pregiudizio, la reciprocità e non la grettezza, la convivialità e non il fondamentalismo. E se una gara a punti si deve giocare non può essere che la gara della resistenza e della denuncia di tutto ciò che calpesta la dignità e offende la persona. Insieme ce la possiamo fare. Se lo vogliamo, un’altra Verona è possibile!