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La veronesità? In contraddizione con la storia

di Francesco Butturini

Rileggo il testo del documento del Presidente della Commissione Cultura dell’attuale Amministrazione Comunale, nella stesura definitiva del 29 gennaio. Mi sembra un esercizio esclusivamente “politico”, non nel senso attivo e positivo della parola ma nel senso più comune, quello che per un cittadino medio significa da sempre: presa del potere, ottenuta con un indiscutibile esito elettorale ampiamente spostato sul municipalismo come difesa da presunti attacchi esterni (da parte di culture, popolazioni…). Nel documento è chiara una sola posizione ed un solo principio: salvaguardare le veronesità. Il principio della veronesità.
Il sottoscritto (la sua famiglia è una delle antiche famiglie veronesi), veramente non sa cosa voglia dire “veronesità”. Amo questa città, che sento mia e della gente che vi abita da ieri, l’altro ieri, o da oggi, o che verrà domani. L’amo perché è bellissima, ricca di monumenti di tutte le epoche, di tutte le storie, di tutte le vicende: è stata capitale imperiale dal VI secolo agli Scaligeri (sempre come “proprietà” di condottieri esterni: Dietrich von Bern, malamente tradotto con Teodorico da Verona, non era un veronese e gli Scaligeri nemmeno); il suo santo vescovo protettore, Zeno, non è un veronese e nemmeno i Santi Fermo e Rustico sono veronesi.
Mi viene il sospetto che la veronesità sia sempre una contraddizione. E il documento di cui sopra, infatti è contraddittorio, proprio nelle assai vaghe parti progettuali, laddove parla di Verona come “polo culturale di avanguardia, di respiro locale e internazionale”. È questo un ossimoro esplosivo, che serve solo per tappare un buco evidente che non può non essere scorto se per veronesità, chi ha scritto, ha pensato alla “Pasque veronesi” a Papà del Gnocco” agli amanti shakespeariani, all’aria del Baldo, a “se el lago fusse pocio e’l Baldo del polenta …” forse considerando il festival areniano, il festival shakespeariano o il festival del Jazz troppo recenti per far parte della veronesità.
Nel documento si propone anche di ripristinare i percorsi storico-artistici inventati nel 1983 dal gruppo di “Verona tutto l’anno” (ve lo ricordate?). Elenchiamoli quei percorsi, evidenziando ancora la contraddizione tra la pretesa di fare della città il centro chiuso del mondo e una realtà storica frutto della continua contaminazione di culture diverse.
Si parlava di percorso romano, quando Verona non era una città romana ma fu piuttosto conquistata da Roma; percorso medievale: ma solo grazie a Longobardi e Franchi. E agli Ungari, che si fermarono sul monte Ongarine (il monte Crocetta); percorso comunale: ma una caratteristica del Comune fu proprio una prima timida apertura della città all’esterno; percorso scaligero: gli Scaligeri non erano veronesi; percorso veneziano (anche oggi fra Verona e Venezia, la Dominante, c’è qualche ruggine di troppo); percorso austriaco (!).
Dov’è la veronesità? Per me sta proprio in questa globalizzazione ante-litteram che la nostra comunità ha vissuto da sempre e che una lettura delle più belle testimonianze della sua storia (da Maffei a Biancolini) dimostra sempre dinamicamente aperta, soprattutto al Nord Europa: dagli Ottoni, che qui tennero i loro placiti, ai vescovi e agli abati di quella che fu la potente abazia di San Zeno: erano germanici, fino a Napoleone.
Ancora: dov’è la veronesità di cui continuano a parlare gli estensori del documento? Non è che sia semplicemente un: “adesso che ho vinto faccio quello che voglio, senza guardare in faccia nessuno”? oppure quella filosofia del “porovecismo” che è la risposta dei veronesi alla domanda «come va?» – «da pori veci!», forse un ricordo subliminale della necessità di non alzare troppo la testa perché non te la tagliassero: Venezia, prima, e l’Austria dopo. È questa la veronesità? È il “porovecismo”?
Allora sarebbe più spiccio tornare al “chi drento, drento, chi fora, fora” cioè chiudere le porte della città e tornare a far guerra, in ordine storico: ai sanbonifacesi, ai vicentini, ai padovani ecc.ecc.
Una bella soluzione, non vi pare? Riconquistare territori conquistati, rifare la signoria, magari allargarla. Sto sicuramente esagerando. Per ironia. Per scherzo…
Però la storia qualcosa dovrà pur insegnare anche a chi non la ricorda sempre bene: siamo passati dall’universalismo romano, alla frantumazione medievale: più anarchia generale che certezze amministrative e giuridiche; ai Comuni, alle Signorie, ai Principati, alla Repubblica di Venezia (per restare in città: non Repubblica di Verona!), agli Stati risorgimentali, all’Unione Europea. Si può sempre tornare indietro e ricominciare da capo! Credo che i silenzi del documento, che ora elencherò, nascano proprio da questa confusione di fondo che si nasconde dietro questa idea, questo principio di salvaguardia della veronesità.
Nel documento non si dice nulla delle imprese culturali di Verona fino ad oggi attive o in progetto (con pregi e difetti come tutte le umane imprese). Elenchiamone alcune.
Centro internazionale di fotografia degli Scavi Scaligeri (si chiude?);
Museo di Storia Naturale (il secondo in Italia per importanza e antichità): rimane? se vendono Palazzo Pompei, dove lo mettiamo, in qualche scantinato dell’Agec?
Ex Arsenale: promesso a un centinaio di enti vari, ultima la Cignaroli che il suo spazio l’aveva pure conquistato agli ex Magazzini Generali: una struttura splendida nel cuore della città, lasciata oggi alla più pura improvvisazione.
E delle altre caserme militari che stanno andando in disuso: che ne faremo? le lasceremo cadere a pezzi, o le abbandoneremo ad abitanti indesiderati e indesiderabili?
E delle mura scaligere, veneziane, austriache con i relativi percorsi?
Di Castel San Pietro, Fondazione Cariverona permettendo, che faremo? e della sua funicolare?
Per non parlare di quel ricco corredo di attività teatrali e musicali estive: dal Festival Shakespeariano al Festival Jazz, al teatro nei cortili (basta il teatro di Rapisarda tornato a Corte Molon?).
Oppure tenteremo ancora avventure Louvre – Goldin, ma senza firmare contratti naturalmente?
Con chi proveremo domani: con il Guggenheim? Monaco? Vienna? San Pietroburgo?
Per la verità, sinceramente, auguro che il documento che ho letto sia solo un testo “politico”, nel senso che dicevo sopra e che la Commissione faccia veramente un progetto culturale per la mia amata Verona. Un progetto che sia attento al territorio e alla sua storia, nel contesto della contemporaneità che è, che lo si voglia o no, che se ne abbia paura o no, globale e globalizzante.
Quindi: affidarsi alle mani di esperti operatori culturali che ci sono e vivono anche in Verona;
stabilire rapporti di stretta collaborazione con l’Università e la Scuola veronese che vantano primati nazionali singolari a vari livelli; collaborazione anche con il Conservatorio e con l’Accademia di Belle Arti, purché si doti di uno statuto moderno, degno della sua storia più antica, ed abbia il coraggio di uscire allo scoperto con proposte operative per i giovani.
Sarà anche necessario stabilire rapporti solidi con le città vicine che già hanno aperto il loro territorio al resto del mondo: Rovereto e il MART, Bolzano e il Museion, Mantova e Palazzo Te, Parma e la Pilotta, Modena e il Foro Boario, Venezia e la Biennale, Brescia, che sicuramente, con la presenza attiva di un nuovo direttore generale dei musei (quel Giorgio Cortenuova che Verona si è lasciata scappare) diventerà polo internazionale.
La Fiera di Verona dovrebbe diventare un punto di raccordo e di confronto più forte e culturalmente determinato. Si dovrebbero stabilire accordi forti con i punti di comunicazione europei e mondiali: i borsini turistici che aprono le porte del grande turismo (non solo del mordi-e-fuggi) se ci sono progetti interessanti.
Questa mi sembra una buona veronesità, rispettosa della storia della mia amata città.
E non aver paura del futuro e del nostro presente; non aver paura di cambiare e di camminare per le strade del mondo senza trucchi, presunzioni o illusioni, perché Verona non è l’ombelico del Mondo.

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