Il 16 gennaio 1900. Verso le 7 nelle acque gelide dell’Adige vengono ritrovate diverse parti del corpo di Isolina Canuti, 19 anni. Mancano la testa, le gambe e le braccia. Varie tracce sembrano portare al tenente degli alpini Carlo Trivulzio, 25 anni, amante della vittima e alla levatrice Friedman. Arrestati, vengono poi prosciolti. L’unica condanna che verrà emessa sarà quella a 23 mesi di reclusione per il direttore del giornale Verona del Popolo, Mario Todeschini, colpevole di aver chiesto giustizia per il fatto.
Due lavandaie, Maria Menapace e Luigia Marconcini, mentre sono chine ad insaponare le lenzuola nelle acque dell’Adige sotto il ponte Garibaldi, scorgono un sacco impigliato tra sterpi e siepi. «Sarà carne inferior, per frodar el dazio», questo è il primo pensiero delle donne, come risulta dalla loro testimonianza. Quel sacco nasconde invece, come scoprono qualche istante più tardi, i resti straziati di una giovane donna uccisa, fatta a pezzi ed infine buttata a fiume come uno scarto qualsiasi.
La vittima, una popolana di diciannove anni, è Isolina Canuti, figlia di Felice Canuti impiegato da 25 anni nell’amministrazione di una grossa azienda, la Tressa. Al momento della morte la ragazza era incinta di quattro mesi. Chi e perché ha compiuto un simile delitto? La città è in allarme, la popolazione si sente coinvolta e comincia la caccia all’assassino. In molti scandagliano il fiume per ritrovare la testa della donna che sarà recuperata solamente il 24 dicembre nei pressi di Ronco all’Adige.
Le prime indagini su questo delitto, che tiene con il fiato sospeso tutta l’Italia, sono condotte dal questore, cavalier Cacciatori. Carlo Trivulzio, il sospettato, è un tenente del Sesto Alpini, che aveva preso in affitto una stanza in casa Canuti, al 25 di via Cavour, e intrattenuto una relazione amorosa con Isolina. Trivulzio apparteneva a una famiglia nobile di Udine, era ricco e stimato sia dai commilitoni che dai superiori. Il giovane ufficiale ammette di essere stato l’amante della ragazza e di essere al corrente del suo stato di gravidanza, ma respinge ogni accusa e nega anche di averla esortata ad abortire.
Dopo ulteriori indagini, che portano alla scarcerazione di Trivulzio, il questore di Verona si dimette e c’è chi vorrebbe mettere tutto a tacere. Perché?
Nel 1900 Verona era una città di guarnigione in cui i militari, che erano quasi più numerosi dei civili, si sentivano i veri figli della città. Erano anni politicamente difficili. L’Italia era divisa tra ricchi e poveri, nobili e plebei, militaristi e pacifisti, socialisti e conservatori. Era terminata da poco, con una costosa sconfitta, la Guerra d’Etiopia. Scioperi e agitazioni erano repressi violentemente, soprattutto a Milano dov’era avvenuta una vera carneficina durante le quattro giornate dal 6 al 9 maggio 1898 quando il generale Bava Beccaris, per ordine del re Umberto I, aveva soffocato nel sangue i tumulti. Le università erano state chiuse, come le camere del Lavoro, e in un clima di tensione e repressione il generale Pelloux, chiamato al governo da un re impaurito e tentennante, pensava di dirigere il paese con i poteri speciali e decreti regi. In questa atmosfera di tensione e paura tutti sembrano voler dimenticare, la gente vuole divertirsi. La città offre molte possibilità di svago, ci sono ben sei teatri: il Filarmonico, il Ristori, il Manzoni, il Drammatico, l’Arena ed il Gambrinus.
Isolina sarebbe stata presto dimenticata, la sua vicenda sarebbe diventata uno dei tanti casi insoluti, se non fosse per Mario Todeschini, deputato socialista e direttore del giornale Verona del Popolo. Prima con una interrogazione al Parlamento e poi con una serie di articoli provocatori, Todeschini mette alle strette Carlo Trivulzio costringendolo a uscire dal silenzio nel quale si era rifugiato. Le provocazioni del giornalista, insieme alle nuove scoperte sul caso, costringono l’ufficiale a querelare Todeschini: non farlo sarebbe stato come ammettere la propria colpevolezza. In questo modo si arriva finalmente a un processo, ma non contro il presunto assassino, bensì per diffamazione contro il deputato socialista.
L’opinione pubblica si divide, i giornali si schierano: Il Gazzettino e Verona del Popolo dalla parte di Isolina e del Todeschini, L’Arena, Verona Fedele, L’Adige, Il Resto del Carlino e La Stampa dalla parte di Trivulzio e dell’esercito. Il Corriere della Sera si tiene in una posizione di mezzo: a volte interessato alla scoperta della verità, a volte trascinato dall’onda del perbenismo.
É una piccola storia quella di Isolina, quasi scontata: quella di una ragazza che rimasta incinta dell’amante spera di riuscire a sposarsi. Durante una cena alla Trattoria del Chiodo, al 9 di vicolo Chiodo, la giovane donna in stato di evidente ubriachezza, viene fatta abortire con violenza, ma nel corso dell’operazione muore e qualcuno la fa a pezzi. Tutti gli indizi portano a un gruppo di ufficiali, amici di Trivulzio. Lo stesso questore della città è convinto della colpevolezza dei militari. Per far assolvere il Trivulzio, in mancanza di meglio, gli avvocati dell’accusa mirano a far apparire Isolina «leggera», una che la morte se l’è peggio che cercata, «se l’è voluta». A questo bastano una vicina di casa animata da qualche risentimento, i pettegoli, i bigotti, la retorica, i finti moralismi. L’intera vicenda viene così politicizzata e lo stesso Capo di Stato Pelloux lascia intendere di tenere molto all’esercito e di preferire che tutto venga sepolto.
Il processo termina con la condanna per diffamazione nei confronti di Todeschini. Lo stabilisce la sentenza del 31 dicembre 1901: «In seguito a tutte queste osservazioni il Collegio dichiara colpevole l’onorevole Mario Filippo Todeschini del delitto di diffamazione continuata per mezzo della stampa in danno di Trivulzio Carlo, coll’aggravante della recidiva generica e col beneficio delle attenuanti generiche, lo condanna alla reclusione per la durata di 23 mesi e 10 giorni e alla multa di L. 1458. Lo condanna inoltre al pagamento delle spese processuali, della pubblicazione della sentenza, al risarcimento danni».
Delitto senza castigo, per il colpevole mai condannato; castigo invece per chi ha mosso le acque. Del resto Isolina è figlia di un impiegato, un povero uomo che s’arrangia dando in affitto qualche camera agli ufficiali di passaggio; Trivulzio proviene invece da una famiglia nobile e ricca, e poi cosa conta la vita di una ragazzina semplice e povera di fronte all’onore dell’esercito? Ed è quello che alla fine viene salvato, contro tutte le evidenze. Isolina vittima in una storia in cui i veri protagonisti sono la ferocia e il conformismo.
Cinzia Inguanta

Nasce a Firenze il 4 giugno 1961, sposata con Giuliano, due figli: Giuseppe e Mariagiulia. Alcuni grandi amori: la lettura, il cinema, il disegno, la fotografia, la cucina, i cinici, le menti complicate e le cause perse. Dopo la maturità scientifica, s’iscrive al corso di laurea in medicina e chirurgia per poi diplomarsi in design all’Accademia di Belle Arti Cignaroli. Nel 2009 s’iscrive alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca. Giornalista pubblicista dirige Radio Popolare Verona, già direttrice del magazine online Verona-IN con il quale continua a collaborare coordinando la redazione spettacoli e scrivendo di libri. Nel 2006 ha curato la pubblicazione di La Chiesa di Verona in Sinodo e di Il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, nel 2007 di Nel segno della continuità. Nel 2011 l’esordio letterario con la pubblicazione del suo primo romanzo Bianca per la casa editrice Bonaccorso. Alcune sue poesie sono pubblicate nel 2° volume della Raccolta di Poesie del Simposio permanente dei poeti veronesi (dicembre 2011), altre sono pubblicate nella sezione Opere Inedite sul blog dedicato alla poesia di Rainews. cinzia.inguanta@email.it
