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Teatro Romano. «Giulio Cesare» e l’esercizio del potere

di Alice Castellani

Dal 20 al 23 luglio andrà in scena al Teatro Romano, all’interno dell’Estate Teatrale Veronese 2006, un Giulio Cesare di Shakespeare con protagonista Franco Branciaroli e la regia dell’inglese Tim Stark. Quest’anno il cartellone della rassegna ha il suo punto di forza nel Festival Shakespeariano, con messe in scena internazionali e, finalmente, un gemellaggio con il primo Festival Shakespeariano al mondo, quello della città natale del bardo di Stratford-On-Avon, da cui nel solstizio d’estate arriva a Verona il Sogno di una notte di mezza estate per la regia di Tim Supple, un sogno indiano ed etnico, ma ancora fedele al testo.
Tim Stark è un giovane regista, proviene dal Royal National Theatre di Londra e ha già diretto Romeo&Juliet e, recentemente, un Re Lear che sottolineava la quasi endemica violenza di una società sempre più autodistruttiva. Il suo Giulio Cesare porterà in scena attori italiani, sarà molto fedele al testo e attualizzato secondo le abitudini inglesi, giocando sull’ambiguità di tutti i personaggi e sulla difficoltà a circoscriverli nelle comode categorie del “buono” o del “cattivo”.
Lo spettacolo, in programma in prima assoluta a Verona, sarà il culmine di un work-shop che, senza Franco Branciaroli, sarà presentato a Parma in maggio. La scelta del Giulio Cesare – dice Stark – si lega al suo essere un testo politico dove non è affatto chiara la contrapposizione tra bene e male. L’idea del nemico che è tra noi e della paura guidano il talento britannico nell’allestimento, così come la paranoia del potere, altro tema fondamentale: con le azioni di Cesare dettate dalla paura e dalla debolezza, con la violenza e l’uso delle armi sintomi non di forza o di potere ma di pavidità.
Il nome di Cesare governa l’intero dramma, il cesarismo è al suo culmine fino all’imminente ratificazione monarchica e imperiale, con il parallelo costituirsi della congiura repubblicana che lo attacca. Assassinato Cesare, irrompe il nuovo cesarismo incarnato da Antonio, che con la sua orazione al popolo sul corpo di Cesare morto cambia la storia. Il conflitto tra i due schieramenti politici, che esprimono anche due diverse concezioni del mondo, si consuma sempre in uno spazio pubblico: ruoli e destini dei personaggi si legano a opzioni ideologiche e a conseguenti fazioni, da sottoporre alla prova del popolo. Aazioni linguistiche volte alla persuasione della folla risultano centrali e il popolo, apparente protagonista della storia, è di fatto ciò su cui si compie la trasformazione in potere dei contrapposti orientamenti ideologici.
A dominare è il paradigma della persuasione, la sua retorica di parte, la recitazione e la simulazione. Il regista induce a riflettere su quanto la storia non sia il risultato di programmi razionali, bensì di persuasioni. Tutti i personaggi parlano gli uni agli altri, o al popolo che deve convalidare il loro potere, sempre cercando di imporsi o di imporre un certo “contratto”, ricorrendo a simulazione e dissimulazione. Come a dire che non si dà azione politica, se non all’interno di una qualche finzione.

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