Il grande impulso dato da Venezia alla diffusione del teatro dell’opera, con la nascita nel 1637 del Teatro San Cassiano, primo teatro pubblico a pagamento, favorì il fiorire di iniziative analoghe in tutta l’area veneta. Questo fenomeno coinvolse anche Verona contribuendo così a risollevare in parte il nostro ambiente musicale dalla stasi che lo aveva colpito in seguito alla pestilenza scoppiata nel 1630. I motivi della crisi non sono da cercare solo nel grave episodio della peste, con tutte le ripercussioni economico-sociali, ma soprattutto nella difficoltà delle istituzioni musicali della città di adeguarsi ai mutati indirizzi stilistici e di gusto che il Seicento portava con sé.
La Cappella della Cattedrale è la prima ad allinearsi alle nuove tendenze nonostante i numerosi problemi organizzativi. Per l’Accademia Filarmonica, al contrario, il processo di adattamento fu molto più lento e faticoso. Nata e cresciuto nel clima culturale del Rinascimento, l’Accademia denunciava una decadenza dello spirito originario fin dall’inizi del secolo XVII. Il culto delle lettere e delle discipline filosofiche e scientifiche tolse progressivamente spazio alla “pratica” musicale, come confermato da un documento dell’Accademia datato il 14 giugno 1613 in cui si scriveva: «…il solo esercizio musicale non è sufficiente ad aggrandire et illustrare il prestigio dell’istituzione se bene è tratenimento virtuoso». Così, mentre la Filarmonica maturava una lenta trasformazione, iniziava a Verona un’attività operistica, dapprima in sordina, poi sempre più regolare e stabile.
Nel 1651 si costituì la prima società impresariale veronese formata da due musicisti, un ballerino e un falegname. I due musicisti erano il cantore del Duomo e della Filarmonica, don Gerolamo Zaninelli, e il romano Paolo Cornetti, già maestro di cappella a Ferrara. Anastasio Anastasi era il ballerino, mentre “marangon da pezzo” (falegname specializzato nella lavorazione del legno d’abete) era Francesco Nobili, “ingegnere” del teatro e curatore delle strutture sceniche.
La novella società trasformò in teatro un locale affittato nella contrada dell’Isolo di Sopra che da esso prese il nome di “teatro dell’Isolo”. L’opera d’esordio, l’Endimione, fu anche l’ultima per il teatro che dovette dichiarare fallimento per la fuga di uno dei soci (lo Zaninelli) con tutto l’incasso delle recite. Sorte ben più felice ebbe il teatro fondato dagli Accademici Temperati e attivo fino al 1656, stando a quanto si deduce dalla data del primo libretto conosciuto di un’opera rappresentata in questa sede. Dal 1665 il Teatro dei Temperati, certamente ospitato in più sale nel corso della sua esistenza, registrava una serie di rappresentazioni che portarono a Verona opere di autori importanti come Francesco Cavalli, Antonio Cesti, Antonio Lotti. L’attività del teatro cessò nel 1715 quando l’Accademia Filarmonica, stimolata dai risultati ottenuti dall’intraprendente Accademia dei Temperati, decise di avviare i lavori di un proprio grande teatro e restituire alla musica il ruolo di primo piano, in origine ad essa riservato all’interno dell’Accademia. Il più grande sostenitore dell’iniziativa fu il celebre letterato Scipione Maffei, membro della Filarmonica dal 1701, e suo Governatore fino al 1712.
L’azione del nobile veronese incominciò con le pressioni esercitate sul Capitano di Verona, Marc’Antonio Quercini, affinché inducesse le autorità veneziane alla soppressione del Teatro dei Temperati «…per il sito pericoloso in cui si trova e per le opere poco modeste cantate da persone non molto oneste». Queste pressioni hanno tutta l’aria di pretesti per eliminare fin dal primo momento una pericolosa concorrenza. In ogni caso, nel 1715 arrivò l’ordine di chiusura per il vecchio teatro, del quale Maffei e soci avevano chiesto la demolizione. L’anno successivo si diede principio al teatro accanto all’accademia de’ Filarmonici sopra un disegno di Francesco Bibiena, celebre architetto bolognese, già costruttore del teatro imperiale di Vienna per Leopoldo I, nel 1704. Tra vari rallentamenti e sospensione dei lavori il progetto fu portato a termine soltanto nel 1730. Per l’inaugurazione, Maffei riprese un suo libretto giovanile, “La fida ninfa”, per farlo musicare a proprie spese dal compositore bolognese Giuseppe Maria Orlandini. Sembrava tutto pronto quando, un nuovo imprevisto (difficoltà non chiarite di ordine politico, con conseguente divieto ufficiale dello spettacolo da parte di Venezia), impose una proroga all’inizio dell’attività nel Teatro Filarmonico. Trascorsero, infatti, altri due anni prima che il tormentato progetto potesse andare in porto. Finalmente, il 6 gennaio 1732, il Filarmonico aprì i battenti: nel frattempo Maffei, insoddisfatto del lavoro di Orlandini, affidò il proprio libretto ad Antonio Vivaldi, noto anche per la rapidità con la quale era solito portare a termine le opere commissionategli. Le scenografie furono curate dallo stesso Bibiena e l’accoppiata Vivaldi-Bibiena risultò vincente all’inaugurazione. Si rivelò infatti un trionfo come riportato sulla “Gazzetta” di Mantova che scrisse:«L’opera riesce a maraviglia, si per la Composizione, ed isquisitezza della Musica, e sceltezza dei cantanti, come per la nobiltà, e bellezza delle Scene, e altre decorazioni corrispondenti alla perfezione di quel nuovo Teatro, che è uno dei più vaghi, e ben intesi di tutta Italia». Iniziò così per il maggior teatro della città un’intensa attività: Antonio Vivaldi tornò al Filarmonico nel 1735 con “Tarlano” e “L’Adelaide”, e nel 1737 con “Catone in Utica”(seguita nell’occasione dal celebre intermezzo comico di Pergolesi “La serva padrona”). Altri illustri compositori, come Baldassarre Galuppi e Adolf Hasse, insieme a celebri cantanti passarono al Filarmonico fino al 1749, quando un incendio lo distrusse riportandolo allo splendore solo dopo quattro anni. Dal 1754 le rappresentazioni si susseguirono ininterrottamente mentre altri nomi prestigiosi si affacciavano alla ribalta del teatro veronese: da Paisiello e Cimarosa (dell’area napoletana) ai nostri Salieri e Gazzaniga, fino all’avvento di Rossini, che dal 1813 al 1830 impose anche a Verona la sua egemonia in campo teatrale.
Si giunse così nell’Ottocento, altro secolo di musica operistica per eccellenza, almeno in Italia. Nella nostra città nuovi teatri, accanto al Filarmonico, si preparavano ad accogliere i grandi e meno grandi protagonisti del melodramma. A tal proposito, un altro teatro sorse nel luogo della chiesa di San Tommaso apostolo, detta S. Tomio, soppressa come parrocchia nel 1805, ridotta ad oratorio nel 1808 e chiusa definitivamente nel 1810. L’ex chiesa fu poi acquistata dal conte Francesco Morando che sul disegno di Luigi Trezza la fece trasformare in teatro, molto elegante, con trentadue palchetti, inaugurato nel 1814. Al Teatro Morando furono rappresentate numerose opere di Rossini, Donizetti, Guglielmi, e ospitò cantanti illustri come il celebre soprano Teresina Brambilla e il castrato Luigi Bassi. Al nome di Gioacchino Rossini è collegato un importante momento della storia politica della nostra città: nel 1822 Verona fu scelta quale sede del Congresso della Santa Alleanza dal principe di Metternich, potente cancelliere dell’impero austriaco. Per celebrare l’evento furono commissionate a Rossini quattro cantate: Il vero omaggio, L’augurio felice, Il bardo, La Santa Alleanza, da eseguirsi in Arena il 24 novembre, mentre le prime tre al Filarmonico, il mese successivo, sotto la direzione dello stesso autore e alla presenza degli imperatori e regnanti di tutta Europa come lo zar Alessandro di Russia, Francesco I d’Austria, Federico Guglielmo di Prussica, il re di Sardegna Carlo Felice, il duca di Wellington, il principe di Metternich, e il visconte di Chateaubriand. Il “bel canto” continuò a dominare fino alle soglie del XX secolo la vita musicale a Verona, per la quasi totalità concentrata nei teatri d’opera. Al Teatro Filarmonico si affiancarono i più recenti palcoscenici del Teatro Ristori (in origine Teatro Sardi, poi Valle) e del Teatro Nuovo (inaugurato nel 1846 con l’Attila di Giuseppe Verdi). Accanto ai capolavori di Bellini, Donizetti, Rossini e Verdi trovarono successo anche opere di Mercadante, Auber e Meyerbeer. Per avere un’idea, vediamo che cosa accadde, in un anno, per esempio nel 1853, in tema di melodramma a Verona. Al Filarmonico: “Ernani” di Verdi, “I Puritani” di Bellini, “Medea” di Pacini, “Mosè” di Rossini” e “Lucia di Lammermoor” di Donizetti. Al Teatro Valle (Ristori): “I lombardi” di Verdi, “I due foscari” di Verdi, “Rigoletto” di Verdi, “Lucrezia Borgia” di Donizetti, “Il barbiere di Siviglia” di Rossini e “Il feudatario” di Vincenzo Mela (compositore di Isola della Scala, nato nel 1820, che inaugurò la sua carriera proprio con questa “prima”. Al Teatro Nuovo, “Il mantello” di Romani, “I due Figaro” di Speranza e il “Don Pasquale” di Donizetti. Riassumendo, cinque opere al Filarmonico, sei al Valle, tre al Nuovo: in totale quattordici opere in un anno. Negli anni cruciali delle lotte per l’indipendenza italiana, i nostri teatri rimasero chiusi o rallentarono di molto l’attività. Infatti, dal 1858, il Filarmonico si fermò fino al 1866 mentre il Nuovo, dopo la chiusura fino al 1862, riaprì le recite nel 1865. Il Ristori rimase chiuso solo nel 1857 e nel 1860 mantenendo poi la sua tradizione lirica. Nel 1872 al Teatro nuovo si ascoltò per la prima volta Wagner: non un’intera opera ma una selezione ridotta per complesso bandistico di Lohengrin. Alla diffusione del repertorio wagneriano in Italia contribuirono notevolmente i veronesi Carlo Pedrotti e Franco Faccio, dirigendo in vari teatri numerose prime di Wagner, il quale nel 1876 venne a Verona per concordare con Pedrotti l’imminente allestimento di Lohengrin al Regio di Torino. Occorse attendere ben otto anni prima che questo dramma andasse in scena a Verona: il 26 dicembre 1884.
Da ricordare il grande successo del 1887 che ottenne al Filarmonico una Carmen di Bizet, sotto la guida dell’allora ventenne Arturo Toscanini, prossimo a divenire un direttore di fama internazionale. Anche la generazione post-verdiana fu presente nei teatri veronesi: nel 1890 al Ristori arrivò la Cavalleria rusticana di Mascagni e la Manon Lescaut di Puccini, nel 1895 i Pagliacci di Leoncavallo e nel 1898 Andrea Chénier di Umberto Giordano.
Ma eccoci allo “storico”1913: mentre nei teatri di Verona proseguiva la consueta attività operistica, un gruppo di amici ( il tenore Giovanni Zenatello, il direttore di coro Ferruccio Cusinati, il critico Gino Bertolaso e l’impresario Ottone Rovato) decisero di dar vita a un’iniziativa ambiziosa: allestire una rappresentazione operistica in Arena. L’Anfiteatro romano aveva già ospitato nei secoli precedenti manifestazioni musicali e teatrali (come il famoso evento già citato del 1822), ma l’allestimento di un’opera all’aperto presentava incognite per i cantanti, direttori d’orchestra e scenografi. I quattro amici, sostenuti anche dal direttore d’orchestra Tullio Serafin, superarono ogni perplessità e scelsero l’Arena quale cornice delle celebrazioni veronesi per il centenario della nascita di Giuseppe Verdi. Il 10 agosto 1913, l’Aida inaugurò la prima stagione lirica all’aperto in Arena. Diresse il maestro Serafin, il coro fu affidato a Cusinati, cantarono nei ruoli principali il tenore Zenatello, il soprano Ester Mazzoleni, il mezzosoprano Maria Gay e le scene furono curate dall’architetto Fagiuoli. In quella sera memorabile furono presenti tutte le personalità più autorevoli del momento: Giacomo Puccini, Arrigo Boito, Pietro Mascagni, Luigi Illica, Ildebrando Pizzetti, Riccardo Zandonai, Italo Montemezzi, gli editori Ricordi e Sonzogno, Massimo Gorki, Roberto Bracco e Franz Kafka. La grande avventura areniana era iniziata e l’anno dopo fu rappresentata Carmen (dieci repliche dal 1 agosto 1914), poi il lungo silenzio nel periodo della Grande Guerra fino al luglio 1919 e dal 1940 al 1945. Negli anni della seconda guerra mondiale i teatri cittadini continuarono la loro attività, ma in tono minore e discontinuo. Per il Teatro Ristori e il Nuovo si trattava di uno spegnersi naturale mentre il Filarmonico, dopo la chiusura nel 1938 con il Tristano e Isotta di Wagner, diretto da Sergio Failoni, fu bombardato e raso al suolo nel febbraio del 1945. Soltanto nel 1969 il maggior teatro della città riaprì i battenti interamente ricostruito ma dovette attendere il 1975, con il “Falstaff” di Antonio Salieri, per poter riavere l’originaria destinazione operistica.