di Giorgia Cozzolino
Con 80 mila presenze il Festival dei giochi di strada “Tòca-Tì” ha rappresentato un vero fenomeno non solo per Verona, ma anche nazionale. La terza edizione di questa manifestazione ha infatti superato ogni aspettativa registrando il doppio dei visitatori e occupando 200 mila metri quadrati di superficie tra le mura cittadine. 35 giochi provenienti da tutto il mondo hanno coinvolto oltre ventimila turisti giunti da varie parti d’Italia per assistere e prendere parte alla manifestazione. Numeri grandi che hanno sorpreso persino gli organizzatori dell’Associazione Giochi Antichi (Aga).
Un indotto economico di cui si sono accorti, in tempi di magra, anche gli albergatori e ristoratori veronesi. E tutto è accaduto per gioco. Ma non un gioco qualsiasi, una vera fede per la propensione ludica. Già, perché di questo si tratta: una sfrenata dedizione per tutte quelle manifestazioni giocose che un tempo occupavano le strade e le corti e che, con l’avvento delle auto, della tecnologia e del benessere, sono andate scomparendo.
Piccole “tribù” di giocatori sparsi qua e là hanno non solo ricostruito gli strumenti di gioco antichi, ma li hanno utilizzati per far rivivere passioni sepolte. Niente guerra alla Play-station, come qualcuno ipotizzava con speranza, ma piuttosto uno “sdoganamento” del gioco in quanto elemento infantile. Ma che senso ha riesumare vecchi giochi, alcuni addirittura considerati illegali, come ad esempio la morra, e riproporli nelle piazze? Abbiamo chiesto lumi a uno degli organizzatori, Giuseppe Giaccon, responsabile dell’Aga.
Giaccon ci tiene subito a precisare che il numero più importante del Festival è quello degli oltre duecento volontari che hanno lavorato senza tregua per garantire il funzionamento della manifestazione. Quindi spiega: «Credo che “Tòca-tì” sia riuscito sotto tanti punti di vista, a partire dalle persone che si sono cimentate nei vari giochi senza quella frenesia che spesso ci accompagna». E aggiunge: «Con il numero incredibile di presenze, di cui il 30% da fuori Verona, si è capito che il Festival ha delle forti potenzialità, anche dal punto di vista dell’indotto economico».
– Che senso ha un festival di giochi di strada, quando la strada non è più dei bambini?
«Lo scopo della manifestazione era proprio quello di riprendere possesso degli spazi urbani. Non c’è rivisitazione folcloristica nei nostri intenti, anche se una parte dell’associazione si preoccupa di studiare lo sviluppo storico dei diversi giochi. Ciò che manca nelle nostre società sono spazi pubblici sociali, non destinati a parcheggio o ad attività commerciali, ma veri e propri luoghi d’incontro e di socializzazione. E noi crediamo che attraverso i giochi di strada si possa trovare la voglia di riappropriarsi di questi spazi».
– Qualcuno ha pensato che fosse un Festival per i bambini, ma alla fine i grandi erano i più interessati…
«Huizinga disse che prima dell’homo sapiens nacque l’homo ludens. Per questo abbiamo creato un festival del gioco, non un festival per grandi o piccoli. Noi dell’Aga amiamo giocare ed è questo lo spirito che ci anima. Non crediamo che ci siano giochi cattivi e giochi buoni, non siamo contro quelli tecnologici e non pensiamo che solo quelli antichi siano i migliori. Infatti stiamo già pensando di inserire in una prossima edizione anche nuove comunità ludiche, come ad esempio quella degli skaters. Pensiamo che il gioco aiuti a socializzare, a far crescere i bambini, a mantenere giovani i grandi: una condizione che il mondo dello sport fatica a ricreare perché è diventato uno spazio commerciale che ha perso la propria veste ludica».
– È per questo che “Tòca-tì” ha avuto tanto successo?
«Stiamo vivendo un momento storico in cui siamo sopraffatti da immagini stereotipate e vuote e quando torniamo a casa fatichiamo a trovare la nostra identità. Il tempo non basta mai e quello per giocare non c’è perché nel gioco non c’è quella logica produttiva che governa la nostra società. Il gioco, se vogliamo analizzarlo da un punto di vista sociologico, è anche un esercizio di democrazia: ci sono delle regole concordate a priori che tutti i giocatori rispettano. Ma nel caso il terreno di gioco non sia regolare, come accade se ci si trova in luoghi di fortuna, si può stabilire in modo comunitario quali aggiustamenti apporre alle regole. La manifestazione ha mostrato che il gioco supera non solo le barriere anagrafiche, ma anche quelle della lingua e dei confini».