di Angelo Brugnoli
Tra gli oggetti naturali che fanno parte delle collezioni storiche del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, ci sono tre animali imbalsamati veramente curiosi: hanno un corpo somigliante a quello di un rettile, con una coda irta di spine, dai fianchi escono appendici che sembrano ali e il capo presenta un’ampia bocca irta di denti sopra la quale grandi e maligni occhi fissano il vuoto. Sono montati su basette di legno tornito ed uno di essi porta persino un elegante nastrino al collo. La pelle di color bruno o giallastro appare secca, legnosa e l’animale nel suo complesso ha un aspetto strano e orrido. Sono rarissimi esemplari di basilischi, animali che la leggenda descrive come nati dall’accoppiamento tra un gallo e un serpente e che con il loro sguardo possono uccidere un uomo. In realtà i nostri strani basilischi sono tutto meno che pericolosi. Osservandoli con attenzione, si nota che gli animali sono un artefatto, una creazione dell’uomo. In tutti e tre i casi l’autore di questa eccentrica “frode” ha utilizzato un pesce della famiglia delle razze, al quale sono state praticate abili incisioni nel corpo e con una serie di manipolazioni è stato messo in evidenza l’apparato boccale. Disseccato o affumicato, il pesce così conciato è stato abbellito con due globi oculari di pasta vitrea e montato su di un supporto adatto. La loro fabbricazione sembra risalire tra il XVI e il XVII secolo per soddisfare lo straordinario interesse per gli animali strani e bizzarri che iniziavano a giungere in Europa a seguito della scoperta delle Americhe. Animali imbalsamati o parti di essi andavano ad alimentare il ricco commercio che si stava formando intorno all’esotico, sostenuto da quanti iniziavano proprio allora a “musealizzare” la natura in gabinetti delle meraviglie, specie di musei antiquari, organizzati nelle abitazioni di ricchi nobili o di qualche studioso.
La nascita della nuova moda, la collezione di oggetti naturali, possibilmente rari ed esotici, attivò una passione per il collezionismo che non infrequentemente accettava l’inverosimile, il mitico basilisco appunto, pur di possedere un reperto esclusivo. A Verona, il conte Lodovico Moscardo (1611-1681) fu il proprietario di un Museo, conosciuto in tutta l’Europa dotta del tempo, e del quale egli stesso pubblicò una descrizione in due volumi, illustrati con stampe. Il Museo contava più di trecento fra dipinti e incisioni, centinaia di sculture, bronzi e oggetti provenienti da scavi, cinquemila tra monete e medaglie nonché, come dice il Maffei in Verona Illustrata “… cose naturali ottimamente disposte, e venute in gran parte fin dal famoso Museo Calceolario. Serie di gemme, e di marmi, di miniere, e di minerali: coralli, piante, legni, erbe, amianto, calamita, terre, sali, balsami, gomme, cose impietrite, testacei, animali strani, e parti pregiate di essi, mostri e scherzi della natura, mumie e cocodrilli, e quantità di cose d’India”. E in effetti, nel catalogo a stampa della collezione appare anche la figura di un basilisco, somigliante non poco ad uno degli esemplari di proprietà del Museo. E come per il Moscardo abbiamo notizie di draghi o basilischi presenti nelle collezioni di Aldrovandi e di Calzolari, dotti scienziati di un secolo prima. In realtà già nel XVI secolo si era scoperto l’inganno, ovvero che le mummie dei basilischi altro non erano che contraffazioni, operate per ricavare un buon guadagno dalla vendita di simili oggetti ai vari collezionisti dell’epoca, come il Moscardo appunto.
Che il mercato degli animali esotici e favolosi, così come quello dei fossili, fosse diffuso e promettesse buoni affari per ciarlatani e falsari di ogni genere, ce lo racconta anche il Goldoni nella sua “Famiglia dell’antiquario” dove il conte Anselmo, invasato collezionista di antichità ed esoterie varie, si fa bellamente imbrogliare da Arlecchino e Brighella improvvisati “Armeni”, venditori di pattume in cambio di zecchini d’oro. Nella finzione scenica, il conte Anselmo viene buggerato con costosissimi sassi scolpiti rozzamente a forma di pesce, forse un tentativo di acquisizione dei già notissimi pesci fossili di Bolca. Di qualcuno di questi “imbroglioni” abbiamo anche il nome, come nel caso di mastro Leone Tartaglini da Fojano della Chiana che durante il suo soggiorno veneziano confezionò un altro basilisco, ora custodito al Museo di Storia Naturale di Venezia. Questa tecnica di manipolazione delle razze per la creazione di basilischi o draghi è evidentemente di antica e ampia diffusione se ancora oggi è presente nel sud-est asiatico, in paesi come l’Indonesia. Là si confezionano draghi portafortuna per i turisti, utilizzando il medesimo materiale (le razze) e realizzando la stessa figura in posa ad ali spiegate. Completa la replica anche un bel paio di occhietti in vetro o plastica, rigorosamente maligni e scintillanti.